Sisma, 120 volontari per l’esercitazione «Per Sant’Agata siamo quattro volte di più»

La differenza tra la simulazione di un terremoto e l’emergenza vera sta nell’aria rilassata che si respira al campo dei volontari, montato con estrema lentezza e tra le foto di rito, nel pomeriggio di ieri nello slargo di fronte la sede della protezione civile di Catania. L’ora X è scattata a mezzogiorno. Un terremoto del 4.6 della scala Richter con epicentro nella piana di Catania. Il precedente a cui si fa riferimento è il sisma di pari intensità del 23 dicembre del 1959. Ovviamente nessuno se n’è accorto, neanche per finta. Perché le operazioni che coinvolgono la popolazione sono iniziate soltanto stamattina, con l’evacuazione di alcune scuole di Librino e Monte Po e l’intero villaggio Goretti. Domenica toccherà al centro commerciale Porte di Catania.

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Ieri pomeriggio quindi all’opera c’erano solo i volontari delle associazioni. «Circa 120 – spiega Paolo Di Vita, responsabile dell’associazione Misericordia – un quarto di tutti i quelli che realmente ci sono a Catania». Il motivo della scarsa partecipazione sta nella rinuncia ai «benefici di legge». «Quando scattano le emergenze i volontari usufruiscono di alcuni benefici – spiega – ad esempio il Comune, o l’ente che coordina i soccorsi, si impegna a pagare le giornate di lavoro perse. Di solito questo accade anche per le simulazioni, ma stavolta non è andata così». La tre giorni infatti è stata richiesta dai volontari stessi. «Il Comune non avrebbe avuto i soldi per pagare i benefici di legge, quindi abbiamo lasciato massima libertà ai volontari».

Ci sono quelli della Misericordia, della Croce Rossa e della protezione civile. «Pochi se paragonati ai numeri della festa di Sant’Agata – continua Di Vita – lì sono presenti tutti i volontari di Catania e superiamo le mille unità». Anche il numero di ambulanze impiegate per la simulazione è dimezzato. Ieri ce n’erano cinque, a fronte delle dieci a disposizione per la festa della santa patrona. Una volta finito di montare le tende, nel tardo pomeriggio, i volontari hanno controllato che le aree di attesa e di raccolta della nona e della decima municipalità fossero libere o necessitassero di essere sgomberate. Una procedura che, se l’esercitazione avesse interessato il centro storico, si sarebbe rilevata di certo molto più lunga e complessa. Tra le aree di raccolta figurano infatti anche spazi molto trafficati come piazza Verga e piazza Carlo Alberto, sede della quotidiana Fera o luni. Come farebbero in questo caso i volontari a far sgomberare l’area in poco tempo? E dove troverebbero posto i cittadini in fuga dal sisma in una piazza soffocata dalle bancarelle?

«Non si può fare altrimenti – spiega Carmine Rosati, presidente del coordinamento comunale di volontariato della protezione civile – gli spazi sono esigui e quando non ci sono emergenze le attività cittadine devono andare avanti». La soluzione per lui resta l’informazione. «Abbiamo iniziato questa campagna di sensibilizzazione nei quartieri con più alta densità abitativa – continua – ma spiegheremo anche agli ambulanti che in caso di terremoto devono sgomberare». Secondo lo scenario di rischio studiato dai tecnici della protezione civile una scossa del 4.6 provocherebbe nelle due municipalità interessate dall’esercitazione il crollo di cinque edifici, l’inagibilità di 150 e il danneggiamento di 250 strutture. Ma Catania, lo dicono gli studiosi e la storia passata, rischia di essere colpita da scosse ben più forti. Perché dunque una simulazione con un sisma di media intensità? «In caso di big one – conclude Rosati – di intensità superiore a 7 gradi Richter, anche la macchina dei soccorsi locali verrebbe coinvolta dal sisma, quindi gli aiuti arriverebbero da fuori e il coordinamento passerebbe al dipartimento nazionale».

Salvo Catalano

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