All’alba del 19 settembre la bomba carta che ha aperto la nuova serie di intimidazioni a Siracusa è esplosa in viale Tisia, al pub HMora. Sistemati i danni, Carlo Gradenigo, attivista nelle battaglie per l’ambiente, ha riaperto quella sera stessa. «Nell’immediatezza ho pensato che fosse qualcuno che ce l’avesse con me – dice ora – ma non avendo ricevuto minacce, ho creduto che potesse essere un’assurda reazione a qualche mia parola fuori posto». Quello che è successo negli ultimi due mesi, però, ha sgretolato anche l’unica possibile giustificazione che il giovane esercente aveva immaginato. Adesso Gradenigo è uno dei promotori del corteo che il 30 novembre attraverserà Siracusa per sensibilizzare la cittadinanza su quello che sta succedendo.
Lo slogan scelto è Uniti contro la criminalità. Non si accenna alla mafia. Perché?
«Certamente non per paura, ma per evitare di aumentare la confusione che già c’è. Spetta agli investigatori accertare se dietro questi episodi ci sia la mafia o semplice criminalità. Ne sono convinto io, così come le associazioni antiracket e antimafia che promuovono la manifestazione. Al momento siamo davanti ad atti criminali, da condannare, che hanno attirato molte attenzioni, ma che seguono, ad esempio, un periodo in cui si sono verificate tante rapine a danno di noi commercianti».
Qualcuno negli ultimi giorni l’ha definita un imprenditore antimafia.
«Un’etichetta che non ha senso e che serve solo a concentrare l’attenzione nei miei confronti, esponendomi. Io gestisco un’attività commerciale, il mio pub non è un locale antimafia. Certamente ho le mie convinzioni personali, e i miei principi mi portano a condannare la mafia, ma la vera attività antimafia la fanno tante altre associazioni».
All’indomani della bomba al suo locale, cosa ha pensato?
«Avevo riaperto da poco dopo un mese e mezzo di ferie. Eravamo ancora in estate, periodo in cui nella zona in cui si trova il mio pub non c’è grande movimento che invece è ancora concentrato nelle zone della Marina. Escludendo quindi l’ipotesi di qualche concorrente che mi vuole male e non avendo ricevuto minacce, l’unica cosa che mi restava da pensare è aver risposto in malo modo a qualcuno, anche se io non ho mai minacciato nessuno. Ma anche questa ipotesi, alla luce dei fatti successivi, è svanita».
Gran parte delle attività commerciali colpite da bombe carta o incendi appartengono al settore dell’alimentare. Si potrebbe pensare a problemi con i fornitori.
«Io non ho fornitori, faccio la spesa sempre da solo, mi rilassa. E poi la bomba al barbiere rompe lo schema la serie, in quel caso il fornitore sarebbe quello delle piastre per i capelli…».
Adesso quindi che idea ha di tutto quello che sta accadendo a Siracusa?
«Non ci capisco più niente, aspetto e spero che qualcuno ci dia risposte, anche per toglierci dalla testa le mille ipotesi che si vanno avanzando».
Le forze dell’ordine lamentano che, nonostante i boati sentiti in città, nessuno si sia rivolto a loro per fornire indicazioni. In più le associazioni antiracket spiegano che molti imprenditori pagano il pizzo, ma non denunciano. Perché secondo lei?
«Credo che la gente non dia informazioni per paura. Ma è un problema che non si può ignorare, non si può far finta di essere a Beirut e convivere con le bombe. In parte può anche essere disinformazione, infatti le associazioni vogliono lanciare una campagna che spieghi quali sono gli strumenti, anche economici, che entrano in gioco quando qualcuno subisce un’intimidazione e denuncia. Però ci tengo a precisare una cosa».
Ci dica.
«Siracusa non è indifferente, almeno con le vittime. Una fiumara di persone mi ha espresso la sua solidarietà, mi è venuta a trovare, mi ha portato regali».
Nella sua vita è cambiata qualcosa dopo l’intimidazione?
«Nella mia quotidianità non è cambiato niente. Solo nella prima settimana, ancora scosso per la telefonata che mi ha svegliato alle cinque di mattina, non riuscivo a sopportare gli squilli del telefono, Mi innervosivo ogni volta che suonava di mattina. Superata quella fase, tutto è tornato come prima».
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