Siracusa, Carovana clown porta l’allegria in ospedale «Non è uno spettacolo: il bambino sceglie cosa fare»

Un naso rosso, un camice tutto colorato e un po’ di trucco sul viso. «Non basta questo per essere un clown. Dietro l’apparenza c’è una vera e propria filosofia di vita». Lui è Mariano, in arte dottor Palloncino, il presidente di Carovana Clown. Un’associazione di circa 25 volontari formati in comicoterapia, danzaterapia, musicoterapia e improvvisazione teatrale che prestano servizio nel reparto di pediatria dell‘ospedale Umberto I di Siracusa

Laureati, studenti e anche qualche pensionato. Sono loro a vestire i panni degli animatori di corsia. Tutto comincia quando Mariano legge un volantino, appeso dentro una cabina telefonica, in cui Street children onlus cerca volontari siracusani per portare avanti progetti per bambini. Dopo l’incontro con gli associati itineranti e un periodo di affiancamento, nell’ottobre del 2012, nasce l’associazione. «Da allora non ci siamo più fermati» dice orgoglioso a Meridionews Mariano La Rocca, 39enne muratore di professione, che è la mente e il cuore di Carovana Clown. Anche adesso si sta svolgendo un corso di formazione per aspiranti clown. Erano più di una cinquantina all’inizio gli iscritti ma «alla fine del percorso – spiega – arrivano solitamente sempre in non più di una ventina. C’è una sorta di selezione naturale»

Il corso prevede laboratori su abilità e capacità pratiche di giocoleria e interpretazione teatrale ma verte soprattutto sulle emozioni con esercizi e attività che, per più della metà degli incontri, si incentrano sulla sfera emotiva. «Per essere un buon clown di corsia si deve salire, e non scendere, – dice Mariano – al livello del bambino che è privo di strutture mentali imposte della società. Non si vergogna di piangere o di ridere fino alle lacrime». Il percorso di formazione non ha un tempo prestabilito. «Ognuno entra in corsia quando è pronto e mai da solo. Quando – sottolinea Mariano – ha smontato un bel po’ delle armature degli adulti che schermano eccessivamente l’empatia ed è tornato ad avere fiducia negli altri, cosa fondamentale per riuscire a far emergere insieme la persona e il personaggio». 

La clowneria negli ospedali non è semplicemente uno spettacolo e chi indossa quel camice non è un fenomeno da baraccone. «Ognuno di noi – racconta Mariano – può essere spinto da motivazioni diverse a intraprendere questo percorso di vita». Fra chi vuole donare agli altri ciò che ha ricevuto e chi ha vissuto in prima persona o in famiglia una brutta esperienza, c’è chi sceglie questa forma di volontariato perché è diventata una bella moda. «Ogni clown è diverso dall’altro: eccentrici, timidi, pasticcioni, improvvisatori, precisini. La cosa che accomuna tutti è che, in ogni stanza, entriamo sempre in punta di piedi per evitare che i bambini si intimoriscano». Fra parole, giochi, scenette improvvisate, siparietti comici, canzoni e palloncini «nessuno di noi – ci tiene a precisare il dottor Palloncino – sta su un piedistallo. È sempre il bambino che sceglie cosa fare». 

Gli ospedali sono luoghi in cui i più piccoli sono messi nelle condizioni di dover obbedire ai grandi, siano infermieri, medici o genitori. «Non possono camminare scalzi, non possono mangiare quello che vorrebbero, non hanno con sé i loro giochi preferiti. Così, noi gli diamo la possibilità di scegliere. Non insistiamo mai: se il bambino non ci vuole, se ha delle resistenze – precisa – si va via». Mariano va in corsia ogni mese da anni e di ricordi ne ha tanti che hanno contribuito a formare la sua esperienza. «Una volta – racconta – sono rimasto stupito da una bambina che piangeva perché non voleva farsi fare una puntura. Mentre cercavano di prenderla dal box, mi sono accasciato, mi sono fatto una delle nostre enormi punture giocattolo e poi mi sono rialzato atteggiandomi a bello e muscoloso. La bimba – ricorda commosso – mi ha dato la mano e con i suoi piedi è andata a farsi fare la puntura». 

Marta Silvestre

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