In nove anni (dal 2009 al 2018) 443 casi, dei quali più della metà diagnosticati solo a Catania. Sono i dati dell’infezione da sifilide in Sicilia, resi noti da un report della Regione incluso nel documento con il quale la giunta guidata da Nello Musumeci immagina un’attenzione particolare per il mondo dei sex workers, vale a dire di chi lavora con il sesso. Ed è tra una pagina e l’altra della delibera palermitana che si trovano le tabelle sulla sifilide, una delle malattie infettive a trasmissione sessuale la cui diagnosi, una volta effettuata, deve essere notificata dall’azienda sanitaria provinciale di riferimento all’Istituto superiore della Sanità ai fini del monitoraggio del contagio. Così, dai numeri raccolti dal ministero della Salute, si forma il quadro della quantità di persone ammalate: tra il 2009 e il 2017, a Catania sono stati registrati 185 casi, 41 nel 2018, per un totale di 226 in nove anni. Numeri lontanissimi da quelli dell’altro capoluogo di provincia con il tasso di contagio più alto a livello regionale: a Messina in nove anni i casi segnalati sono stati 63 (52 tra il 2009 e il 2017, undici nel 2018). Secondo le stime regionali, ogni centomila abitanti del comprensorio catanese il 2,29 per cento ha la sifilide.
In base alle informazioni contenute nella delibera, la sifilide ha vissuto un periodo di rinnovata aggressività nel 2005 e nel 2016: annualità in cui, rispetto a prima, le percentuali di contagiati in Italia sono aumentate di picchi fino al 70 per cento. Un incremento attribuibile a più fattori, primo tra tutti la mancata percezione del pericolo a seguito della riduzione delle campagne informative e di prevenzione. Secondo il dipartimento regionale, a causare l’exploit della malattia è l’aumento dei partner sessuali per singolo cittadino e dei rapporti Msm, vale a dire tra uomini. A livello regionale, a supportare questa tesi sono i numeri del contagio nella popolazione maschile: ogni 3,4 uomini con la sifilide c’è una donna contagiata. Le età maggiormente a rischio sono la fascia 25-29 anni per le donne e 35-39 anni per gli uomini, sebbene il rischio di contrarre la malattia si sia abbassato arrivando fino all’età puberale (dai 15 anni). E Catania è lo specchio perfetto di quanto accade in tutta l’Isola.
«Il picco di segnalazioni di sifilide in provincia di Catania – scrive la Regione Siciliana – potrebbe corrispondere o a una migliore capacità di diagnosi/notifica in quell’area. O, più verosimilmente, alla presenza di un focolaio locale». Cioè di un rischio molto più elevato di trasmissione del batterio nella popolazione residente. «In realtà non ci risulta nessun focolaio né si può parlare di numeri allarmanti», commenta a MeridioNews Sergio Pintaudi, primario di Rianimazione all’ospedale Garibaldi e responsabile regionale per la Sicurezza sanitaria e il biocontenimento. Dopo avere esaminato i dati del rapporto ed essersi confrontato con gli infettivologi etnei, il chirurgo non ha dubbi: «Il numero così elevato deriva da una migliore capacità di diagnosi. A essere fuori dalla norma non sono le cifre etnee, ma quelle troppo basse delle altre province».
Se è vero che il luogo comune vuole che la vita sessuale dei catanesi sia piuttosto animata (vedi alla voce escort e scambisti), è vero anche che «è cosa nota che la frequentazione di luoghi promiscui non è limitata ai cittadini catanesi o della provincia – continua Pintaudi – Voglio dire: se c’è un club o un’associazione è probabile che i soci vengano anche da fuori Catania e che poi tornino nelle loro città. Questo dovrebbe tradursi, in automatico, in livelli di contagio più alti anche altrove». Cosa che non è compatibile con i singoli casi notificati da Palermo, Caltanissetta, Enna e Trapani. «La disseminazione del batterio, quando è ancora asintomatico, dovrebbe estendersi oltre i confini provinciali, cosa che i numeri non evidenziano. Ritengo quindi che sia più probabile che a Catania o Messina i laboratori di analisi siano più precisi e facciano una ricerca più proattiva del batterio, che di certo viene identificato anche quando è in forma latente».
La sifilide genericamente si sviluppa in tre fasi: la prima è caratterizzata da ulcere genitali o perigenitali; la seconda dà febbre molto alta e infiammazioni ai linfonodi; la terza, e più grave, danneggia il sistema neurologico. «Per passare da una fase all’altra, però, ci vogliono anni. Spesso, quando ancora si è nella prima fase, si tende a procedere con l’automedicazione, sottovalutando l’ulcera e, quindi, evitando il controllo da parte del medico. In altri termini, per farla più semplice: a Catania e Messina probabilmente la qualità della diagnosi della forma subclinica è più alta che altrove. I numeri così bassi delle altre città mi fanno pensare, invece, che la malattia non venga neanche cercata». E che quindi sia sottovalutata. «Ma se da qualche parte ci fosse un focolaio non sarebbe stato certo possibile tacerlo».
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