«Quando una specie è ridotta al lumicino come il paracentrotus lividus, penso che sia il momento di fermarsi». Così parla a MeridioNews Paola Gianguzza, professoressa associata di Ecologia presso il DiSTeM dell’Università di Palermo, i cui studi da anni sono stati concentrati anche sul paracentrotus lividus, il riccio di mare. Un invertebrato noto in Sicilia soprattutto per il suo sapore, che lo rende particolarmente ricercato dagli amanti dei sapori forti, che spesso lo mangiano anche crudo. Una passione destinata a finire, vista la presenza sempre più ridotta di ricci sulle nostre coste. Motivo per cui si sta pensando a un fermo biologico più lungo di quello attualmente in vigore.
«Sinceramente, questo fermo biologico dal primo maggio al 30 giugno non ha a fini riproduttivi secondo me nessun valore – prosegue la docente – Questa specie si riproduce nel periodo invernale ed è praticamente inutile fermare la pesca quando sono già stati raccolti i riproduttori. Ci vorrebbe un periodo molto più lungo di fermo riproduttivo che sia minimo di tre anni». Non una cosa impossibile, visto oltretutto che diverse regioni hanno già iniziato a muoversi un questa direzione, prime su tutte la Puglia e la Sardegna, dove si vive la stessa emergenza e dove i tre anni di stop sono già iniziati.
«Sono stata responsabile del MoPa, un progetto della Regione siciliana per il monitoraggio paracentrotus – continua ancora – e nelle aree marine protette non abbiamo trovato paracentrotus lividus, neanche piccoli, non abbiamo trovato neanche arbacia (altra specie di ricci di mare ndr) e non perché ci siano predatori naturali, proprio perché la risorsa è sparita. E ci sono problemi che vanno anche oltre il prelievo umano: il cambiamento climatico, con un aumento della temperatura delle acque che può provocare un non incontro tra le uova e gli spermi di questo invertebrato che ha una deposizione dei gameti nella colonna d’acqua, ma ci possono essere anche problemi relativi anche all’acidità dell’acqua».
Con un fermo riproduttivo prolungato, tuttavia, non tutto potrebbe essere perduto. Almeno per il momento. «In tre anni, con delle giuste campagne di protezione, di conservazione, soprattutto di monitoraggio, sicuramente qualcosa si potrebbe fare ed è quello che la Regione siciliana e l’assessorato alla Pesca intendono promuovere, finanziando la seconda parte di questo progetto. Si tratta di una specie simbolo della sicilianità, l’uomo ne va ghiotto e non capisce che abbiamo superato quel limite che ne blocca la riproduzione. Tra la conservazione e la protezione il filo è sottile. In questo periodo neanche i pescatori con regolari licenza possono pescare i ricci, ma se facciamo un giro per le borgate marinare si trovano ceste di ricci in vendita. È un problema che sfiora la pura illegalità».
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