Sicilia, 8 scuole su 10 cadono a pezzi

Lo scorso 15 dicembre il governo nazionale e sei Regioni del Mezzogiorno (Campania, Puglia, Calabria, Basilicata, Sardegna e Sicilia) hanno siglato un’intesa per un Piano di azione e coesione per sbloccare, entro gennaio, quasi un miliardo di euro (974 milioni) per l’istruzione nel Meridione. Di questi, ben 369 milioni di euro sono destinati alla Sicilia (risorse attinte da fondi europei: Fse e Fesr). Previsti anche altri interventi che riguardano i trasporti, l’agenda digitale e, in generale, l’occupazione.
Il Piano di azione e coesione si prefigge di migliorare l’offerta formativa, digitalizzare 2000 scuole con lavagne interattive e banda larga, contrastare la dispersione scolastica e ristrutturare gli edifici scolastici (almeno una parte) che necessitano di interventi urgenti. Si tratta di un segnale positivo, dopo la spietata ‘cura dimagrante’ messa in atto dell’ex ministro Gelmini (che, ricordiamolo, ha tagliato 8 miliardi di euro all’istruzione in tre anni, con effetti devastanti: 130mila posti di lavoro cancellati, riduzione delle ore di lezione e del sostegno per i disabili, aumento delle “classi pollaio” con più di 25 alunni, cioè fuori dalle norme di sicurezza, solo per citarne alcuni).
E tuttavia la ripartizione dei fondi desta qualche perplessità, come ha osservato anche l’assessore regionale all’Istruzione, Mario Centorrino. Uno sguardo sulla situazione delle nostre scuole ci ‘racconta’ di una realtà che, prima ancora di puntare sull’eccellenza e sulle “classi 2.0”, è ben lontana dalla semplice sufficienza. Molto più urgenti sono gli interventi di edilizia scolastica, considerato che, secondo i report presentati da Cittadinanzattiva e Legambiente lo scorso novembre, nel Sud sarebbe in stato di pericolo oltre la metà degli edifici scolastici (esattamente il doppio che al Nord). Nella nostra regione, poi, il divario si allargherebbe con ben otto scuole su dieci: ma il piano governo-Regione riuscirebbe a raggiungerne solo 1260, circa la metà.
Si tratta per la maggior parte, come denunciano Flc e Rete degli studenti, di strutture private, appartamenti civili o scantinati fatiscenti adibiti a scuole, privi di uscite di sicurezza e scale antincendio, con barriere architettoniche. Edifici che, tra l’altro, versano in pessime condizioni igienico-sanitarie. Scuole, insomma, le ‘classi pollaio’ raggiungono in molti casi 30 e oltre alunni (con punte di quasi 40 a Catania). E dove mancano i riscaldamenti e perfino banchi, sedie e lavagne (altro che interattive!). Per non parlare di laboratori, biblioteche, mense e palestre, da considerare del tutto “optional”. A Trapani diversi istituti hanno ancora i tetti in eternit e quello del liceo Classico Ximenes è crollato lo scorso luglio durante gli esami di stato. Mentre a Palermo dodici scuole hanno controsoffitti pericolanti e pavimenti scoperti, al liceo classico Vittorio Emanuele il soffitto della palestra è bucato e nelle aule dell’alberghiero Basile sono visibili gli scarichi delle fogne.
Quanto al problema della dispersione scolastica, poi, abbiamo un’altra maglia nera: secondo il rapporto Censis del 2011, gli studenti siciliani sarebbero i primi in Italia ad abbandonare la scuola prima di arrivare al titolo di studio. Col risultato che, col 19 per cento di abbandoni, oltre un quarto dei residenti tra i 18 e i 24 anni ha solo la licenza media. E anche su questo punto a venire coinvolta nei nuovi percorsi formativi sarà solo una parte degli studenti (circa 65 mila in tutto il Meridione).
Un’altra “caramella” di circa 14 milioni di euro è stata poi assegnata dal governo nazionale alla Sicilia per i buoni libro gratuiti in favore degli alunni meno abbienti delle scuole dell’obbligo e secondarie superiori. Si tratta di toppe, certo necessarie, di una leggera brezza (anzi un “Profumo”) di rinnovamento, ma resta il timore che rimanga solo tale, e che non riesca a cancellare le ferite dei tagli gelminiani. L’ultima delle quali è il piano di “dimensionamento e razionalizzazione” della rete scolastica avviato lo scorso ottobre dall’assessorato regionale all’Istruzione in seguito alla Finanziaria di luglio del governo Berlusconi.
Il dimensionamento naturalmente penalizza in primo luogo i piccoli centri urbani, ma coinvolge anche i capoluoghi. Solo nel Comune di Palermo, all’inizio di quest’anno scolastico, 800 bambini sono rimasti fuori dalle scuole dell’infanzia comunale perché non è stato possibile assumere 44 insegnanti, come ha denunciato il deputato Pd alla Camera, Antonino Russo, in un’interpellanza presentata a ottobre al ministero dell’Istruzione. E dall’anno prossimo le scuole con meno di 600 alunni non potranno più avere un dirigente scolastico e verranno pertanto soppresse o accorpate ad altre strutture.
A Palermo, secondo quanto deliberato nelle scorse settimane dal Consiglio scolastico provinciale, il dimensionamento potrebbe coinvolgere cinque istituti superiori, fra cui gli “storici” Filippo Parlatore, per geometri, e il tecnico commerciale Crispi, che perderanno la loro identità per fondersi, rispettivamente, con il tecnico commerciale Ferrara e con il liceo artistico Almeyda, con cui formeranno dei nuovi istituti “ibridi” con più indirizzi scolastici. A Messina invece, secondo la Cisl, il piano di dimensionamento previsto dal Miur rischia di cancellare il 38 per cento delle scuole, la percentuale più alta tra le province siciliane.
C’è infine il nodo irrisolto del precariato scolastico, anzi il groviglio, visto il disordinato assortimento degli insegnanti precari che inseguono il miraggio della stabilizzazione o anche solo di una supplenza temporanea: ci sono quelli storici delle vecchie graduatorie ad esaurimento, gli abilitati delle Ssis, le scuole di specializzazione chiuse ormai da quattro anni e, infine, il nuovo esercito di laureati che aspetta da allora l’attivazione, sempre data per imminente e poi sistematicamente rinviata, dei nuovi Tirocini formativi attivi (Tfa). Come a dire, una guerra tra poveri. Per avere un’idea della situazione basta farsi un giro al Provveditorato agli studi durante le convocazioni annuali di settembre, che vedono Palermo ormai sempre in prima linea quanto a sit-in e scioperi della fame dei precari esasperati.
Gli studenti, dal canto loro, sono i più diffidenti nei confronti di quello che bollano senz’altro come “governo delle banche”. E, dopo le grandi Onde degli ultimi tre anni, che li hanno visti sfilare in corteo insieme ai professori (chi l’avrebbe detto nel ’68, solo la Gelmini c’è riuscita), hanno continuato a scendere in piazza, provando a connettere i problemi della formazione con quelli dell’occupazione e del reddito. E anche a Palermo hanno fatto capolino il mese scorso, per un paio di settimane, le tende di “Occupy Massimo” a piazza Verdi, a riecheggiare i movimenti che da Londra a New York protestano contro le logiche che hanno portato all’attuale crisi economica.

 

Andrea Gangemi

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