Cresce praticamente ovunque, non ha bisogno di diserbanti, arricchisce il terreno di sali minerali, non soffre i parassiti. E dai semi di questa incredibile pianta, la canapa, si produce un olio che è «migliore dell’olio d’oliva». Con tutte queste favolose doti uno come Giuseppe Sutera Sardo, ventisettene di Ispica con il fiuto per i buoni affari – fa il consulente in una banca come mestiere principale – non poteva lasciarsi scappare l’occasione per un investimento. E ha fondato Sicilcanapa, un negozio online lanciato da pochi giorni, ma soprattutto una startup innovativa che si occupa del settore alimentare biologico utilizzando una pianta ormai dimenticata in Italia, se non per l’uso illegale. «Fino agli anni Cinquanta l’Italia era il secondo produttore mondiale di canapa, veniva impiegata in decine di applicazioni nei settori tessile alimentare e persino edile: della pianta non si butta via niente, ogni sua parte dalla radice alle foglie ha un possibile utilizzo», spiega Giuseppe, che ha deciso di puntare sui cibi prodotti con la canapa «totalmente priva di glutine».
«Il mio obiettivo è quello di creare in due anni un impianto di produzione ecosostenibile per la trasformazione della canapa in Sicilia», racconta Giuseppe, che ha le idee molto chiare sul futuro. Per far partire il suo progetto servono 500 ettari di campi coltivati e due milioni di euro per l’impianto, rigorosamente costruito con tecniche di bioedilizia. «Una filiera corta, con le coltivazioni che devono stare a meno di 150 chilometri dall’impianto», spiega il giovane imprenditore che ormai da cinque anni studia il settore e al momento cerca di creare «un mercato per i prodotti in Sicilia, e soprattutto la cultura del suo utilizzo».
Anche se dalla canapa si ricavano corde, carta, vestiti, cosmetici, pannelli isolanti e altre decine di applicazioni in edilizia e non solo, in Italia non mancano le difficoltà con «contraddizioni tra le direttive europee, che facilitano e promuovono l’uso di questa pianta, e le leggi antidroga italiane». Succede così che, lo scorso anno, Giuseppe si ritrovi in un campo sperimentale a Ispica scambiato per un narcotrafficante con «due elicotteri, quattro volanti e due cellulari della guardia di finanza, che credeva di aver trovato nel mio ettaro e mezzo di coltivazioni una grande produzione di droga». Stupiti i finanzieri, racconta Giuseppe, che si sono ritrovati con in mano decine di fogli con autorizzazioni e descrizioni di un campo creato per trovare una varietà «che si adattase meglio alle condizioni climatiche e del terreno».
La canapa, o cannabis, è infatti la stessa pianta da cui si ricava la marijuana, e non esistono differenze sostanziali tra le varietà per quanto riguarda gli utilizzi industriali. «La distinzione tra cannabis indica e cannabis sativa, che indicano rispettivamente la canapa con alta presenza di principio attivo tetraidrocannabinolo Thc e quella che non lo ha, è botanicamente errata: dipende solo dal terreno», puntualizza Giuseppe. Anche se il suo campo sperimentale non superava i limiti di legge – uno per cento secondo quanto dettato dall’organizzazione mondiale della sanità – come presenza di principio attivo, ha comunque dovuto abbandonarlo a causa di un sequestro. «I finanzieri hanno avviato un procedimento penale, e in attesa la piantagione si è rovinata. E la beffa è che, dopo aver trovato la varietà giusta, il campo è stato completamente tagliato via in una notte». Giuseppe pensa che si sia trattato di ladri «anche loro convinti che fosse una coltivazione adatta alla marijuana» per immettere la cannabis nel mercato illegale. Ma nella sua Ispica Giuseppe ha già trovato degli altri terreni per un’altra piantagione sperimentale da due ettari «presso un noto produttore di prodotti biologici», e ha iniziato a introdurre i suoi prodotti nel mercato locale.
«Nel mio paese ci sono ormai tre punti vendita per il pane fatto con farina di canapa, che è senza glutine e adatto a chi soffre di celialchia, ma non solo», afferma Giuseppe, che è molto attento al boom dei prodotti bio, un settore nel quale farina e olio di canapa possono andare forte. «L’olio di canapa ha un rapporto tra omega 3 e 6 migliore che l’olio d’oliva e la farina se utilizzata per la preparazione dei dolci non ha bisogno di aggiunta di burro o margarina». Per adesso però farina e olio arrivano dal nord Italia, dal Piemonte, dove esiste l’unica filiera completa per la produzione di prodotti di canapa. «Il pioniere in Italia è Felice Giraudo, un coltivatore piemontese stanco del mais che ha reintrodotto l’uso di questa pianta in Italia una decina di anni fa», racconta Giuseppe. Proprio da Giraudo ha imparato tutto quel che c’era da sapere sulla canapa e la sua coltivazione. «Ero a Novara, avevo 22 anni e lavoravo in banca da poco quando ho iniziato a sentire parlare degli usi alternativi della canapa. Sono andato da Giraudo e ho fatto uno stage da lui per imparare, anche se coltivare canapa è davvero semplice rispetto a qualunque altro prodotto. Adesso sono il referente per la Sicilia di Assocanapa».
Se la sua operazione commerciale avrà successo, Giuseppe comincerà anche a proporre ai coltivatori di dedicare spazio alla canapa, con la promessa di accogliere la loro produzione nel futuro impianto. «Ma non sarà un problema convincerli, perché ha radici profonde e arricchisce i terreni di minerali in superfice: meglio coltivare canapa che lasciare il terreno libero».
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