Si apre la porticina dell’edicola votiva, a mala pena si riesce a scorgere sul dipinto il volto di una santa, è Rosalia la patrona di Palermo. La strada è buia, non c’è luce. Inizia la musica, un suono grave, un uomo imposta la voce con un colpo di tosse. Il suo volto è illuminato dalla luce di un lumino rosso, inizia il cantico.
È un rito secolare che ogni anno si ripete dentro ai vicoli stretti degli antichi quartieri di Monreale, dalla Carrubella, alla Ciambra, alla Baviera, al Carmine. A suonare è la zampogna dei ciaramiddari di Monreale, gli ultimi ormai rimasti in paese, oltre ai fratelli Carrozza. Sono pochissimi i passanti che si radunano attorno. Solo gli anziani si fermano. Qualche vecchietta sfida il gelo della sera e si affaccia al balcone. Ripensa alla giovinezza, si tuffa nei ricordi, quando il Natale monrealese era una grande festa cittadina, quando in paese i ciaramiddari facevano a gara per aggiudicarsi quante più edicole votive possibili. «Era un coro di ciaramedde – ricorda un’anziana signora – noi bambini non vedevamo l’ora che arrivasse questo periodo per assistere alle novene degli zampognari».
«A Monreale – racconta il ciarameddaro Salvatore Modica mentre imbraccia il suo prezioso strumento – c’erano almeno trenta famiglie che lavoravano con la cornamusa. Ora ci siamo solo noi, prima ci chiamavano in centinaia, ora le persone che ci cercano sono solo una dozzina». «Sono stanco – racconta invece Benedetto Miceli, che ogni mattina si reca a San Giuseppe Jato alle 5 del mattino per suonare la Novena nelle chiese -, serve che qualcuno prenda il nostro posto per continuare la tradizione che altrimenti andrebbe persa per sempre». In famiglia è rimasto solo Emanuele, figlio di Salvatore, ma non basterà a mantenere viva la tradizione. Emanuele conosce u Galateu, l’arte di suonare la zampogna, e conosce a memoria tutti i semplici testi delle canzoni, ne va fiero mentre accompagna Salvatore e Benedetto per i vicoli di Monreale. Ad ogni fermata i tre propongono due o tre melodie diverse, alla fine arriva un caffè, un bicchiere di vino fatto in casa, una bevanda calda ristoratrice. La Calabrisella, la Pastorale, Tu scendi dalle stelle, diversi inni ai santi e altre canzoni tipiche della tradizione contadina siciliana sono le proposte dei musicanti monrealesi.
«La cornamusa che suoniamo si chiama ciaramedda di Monreale – tiene a precisare Salvatore -, che è diversa dalle altre. In questa la chiave, che serve a intonare lo strumento, si vede, è visibile». Salvatore ha in mano una grande zampogna che apparteneva al nonno di suo nonno. «Mio nonno faceva il carrettiere a Monreale – racconta – ma nel periodo natalizio faceva le Novene in giro per il paese. Questa ciaramedda ha almeno 300 anni, non se ne fanno più così». Gli ultimi zampognari di Monreale completano il loro giro delle edicole votive sparse nel centro storico della città, negli antichi panifici e nelle piccole chiese, un rito che si ripeterà per i nove giorni della Novena, fino alla notte di Natale. Dopo tre secoli, la zampogna di Monreale rischia adesso l’estinzione a causa di una società non più deputata a riconoscere il giusto valore alle tradizioni di un tempo.
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