«Siamo padri di famiglia che si sono rotti i c…». Si presentano così i tre uomini che nella tarda mattinata di oggi si sono incatenati davanti alla sede della Serit in corso Sicilia. Nessuna sigla, semplici commercianti che hanno scelto l’agenzia di riscossione delle imposte per urlare il loro malessere. Attorno a loro si sono radunate una trentina di persone. Qualcuno ha in mano un tricolore, proprio come al corteo di 250 persone che ieri sera, senza autorizzazioni e spontaneamente, ha attraversato via Etnea chiamando i catanesi in strada a protestare. «C’eravamo anche noi alla manifestazione di ieri», spiega Salvatore Caruso, uno dei tre incatenati, sorvegliati a qualche metro di distanza da polizia e carabinieri. Se i Forconi, dunque, hanno l’obbligo di non spostarsi dal presidio di piazza Università, ci pensano i non organizzati a provare ad accendere la miccia della rivolta che è già dilagata nel resto d’Italia. Ma ancora una volta Catania non sembra rispondere.
«Questa è una democrazia mascherata da dittatura», continua Caruso in riferimento al divieto di assembramento che la prefettura di Catania ha imposto ai Forconi. La richiesta è sempre la stessa: «Dimissioni», di tutti indistintamente: del Parlamento, del Governo e del presidente della Repubblica. «Resteremo qui a oltranza», promettono. Ma, in questi giorni di caos, è probabile che si registreranno nuove azioni di protesta. Con o senza Forconi.
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