La Ligeam srl, una delle tre società che compongono la NewCo Servizio Integrato Acque Mediterraneo (Siam), si è ufficialmente ritirata dalla gestione del servizio idrico. La decisione è stata comunicata venerdì, con una nota indirizzata ai sindaci di Siracusa e Solarino. L’appalto, mediante procedura negoziata, era stato vinto con un ribasso dello 0,5333 dagli spagnoli della Depuratión de Aguas del Mediterràneo (Dam) di Valencia, consorziati insieme alla Onda Srl del cognato dell’ex finiano Fabio Granata insieme ai soci maltesi, e appunto, la Ligeam. Il contratto ha una durata annuale, estendibile per altri due mandati, e un compenso di 16 milioni e 527 mila euro. Le tre società avrebbero dovuto operare già da novembre, data poi posticipata a gennaio, ma i lavori sono stati bloccati per l’assenza della certificazione antimafia, non ancora pervenuta in prefettura.
In realtà alla Ligeam srl il Consiglio di Stato ha confermato l’interdizione antimafia lo scorso dicembre, in quanto il suo amministratore Michele Roberto Lico, «risulta indagato dalla Dda di Catanzaro per falsa testimonianza». L’imprenditore 51enne è originario di Vibo Valentia, città nella quale dal 2012 ricopre per la seconda volta la carica di presidente della Camera di Commercio, e dove risiedono le sue società, la Elmecont Elettromeccanica e controllo srl e la Ligeam srl, quest’ultima specializzata in progettazione e impianti tecnologici per la gestione di acque ed energia, della quale detiene il 92 per cento del pacchetto azionario. La restante parte, come risulta dalla visura camerale, è ancora intestata al padre Santo, deceduto però nel 2009, già Commendatore della Repubblica e fondatore l’omonima azienda di famiglia, la Lico Santo srl, di cui Michele possiede una quota.
Secondo l’informativa antimafia del 24 maggio 2011, in possesso degli inquirenti, nei cantieri della Ligeam il Gruppo provinciale interforze ha evidenziato «il pericolo di condizionamenti mafiosi» e sarebbe stata «accertata la presenza di ditte fornitrici di materiali collegate a sodalizi criminali quali le cosche dei Lo Bianco di Vibo e Anello di Filadelfia». Inoltre, scrive il Consiglio di Stato, Michele Lico è stato «prescritto e non assolto nel merito, dal Tribunale di Crotone, per la gestione di rifiuti pericolosi». Con una nota, i legali dell’imprenditore calabrese hanno prontamente rettificato, spiegando che le aziende «non sono mai state oggetto di misura interdittiva antimafia e mai sono state sottoposte a indagini relative alla criminalità organizzata».
In queste settimane la Ligeam è stata anche tirata in ballo dal settimanale L’Espresso che, spulciando gli elenchi delle aziende fornitrici dell’Acea – società capitolina partecipata del Campidoglio entrata nell’orbita del gruppo Carminati e nell’inchiesta Mafia Capitale – ha trovato appalti milionari diretti ai Lico. Per i giudici del Tribunale del riesame di Roma «il clan di Massimo Carminati è da anni in affari con il clan ‘ndranghetista dei Mancuso di Limbadi». Pantaleone Mancuso, detto Don Luni, è considerato uno dei vertici dell’omonima ‘ndrina. Già condannato per associazione mafiosa e sorvegliato speciale, Mancuso è stato per diversi mesi intercettato dalla Dia e, durante una conversazione nel suo ufficio in un casolare di campagna, racconta i suoi rapporti con «l’eccellenza imprenditoriale calabrese».
«Io lo conosco, lo conosco bene io a questo! – dice Mancuso – Abbiamo mangiato assieme con Santo (Lico Santo, ndr), Michele (Lico Michele Roberto, ndr), Lui (Bonanno Giuseppe, presidente del Consorzio di Sviluppo Industriale della provincia di Vibo Valentia, ndr), la cognata (moglie di Bonanno e cognata di Lico Michele, ndr) e la sorella (coniuge di Lico Michele, ndr)». La conversazione, agli atti dell’inchiesta Black Money, secondo l’ordinanza del Gip è un «ulteriore prova della capacità del capo cosca di intessere rapporti con esponenti della società imprenditoriale e politica della provincia».
Sempre nella capitale, dove la famiglia Lico ha notevoli interessi economici, lo scorso maggio la Dia ha posto sotto amministrazione giudiziaria una delle aziende. Le indagini hanno evidenziato «intensi rapporti affaristici» tra la Lico Santosrl e altre due aziende, la Edil Service srl e la Roma Service srl, entrambe già poste sotto sequestro e considerate riconducibili a Saverio Razionale, boss di San Gregorio d’Ippona. Per gli inquirenti, oltre ad aver impiegato nel ciclo lavorativo operai non in regola e forniti dal gruppo mafioso, la Lico Santo è da considerarsi «una società fiduciaria della cosca», che avrebbe permesso al clan di «partecipare indirettamente alla gestione degli appalti privati e pubblici, senza correre il rischio di essere scoperti». Il sequestro è stato successivamente revocato a novembre.
AGGIORNAMENTO: Michele Lico, tramite il proprio legale, fa richiesta di diritto all’oblio specificando come, in data 30 marzo 2017, il Consiglio di Stato abbia disposto la revoca dell’interdittiva precedentemente emanata dal Prefetto.
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