Sensibilità chimica, la malattia che isola «Curarla costa troppo per la Regione Sicilia»

Una malattia subdola, che nasce con sintomi non collegabili fra loro. Uno stato di salute che peggiora progressivamente e per il quale perfino recarsi in ospedale potrebbe essere letale. È la sensibilità chimica multipla (mcs), una sindrome non riconosciuta in Italia, «ma studiata già dagli anni ’50 negli Stati Uniti», spiega Marisa Falcone. Avvocato penalista catanese, affetta dalla patologia da tre anni, è presidente dell’Associazione per la difesa dell’ambiente e della salute. «È una malattia degenerativa che tende a cronicizzarsi – afferma il legale – L’organismo perde la capacità di buttare fuori le tossine che ci circondano, per cui è facilitata anche l’insorgenza di altre patologie». Quella che può iniziare con una semplice asma o un’allergia può portare a edema, ischemia, ictus. «È definita rara solo perché non sappiamo con precisione quanti ne sono affetti, non è mai stato fatto uno studio epidemiologico». In Italia sono migliaia i casi riconosciuti e la regione nella quale si riscontra la maggiore incidenza è la Sicilia, con circa 250 diagnosi. Molte nelle zone più inquinate – Priolo, Milazzo, Pace del Mela – e una decina nella sola Catania.

«La mcs è una malattia poco diagnosticata, perché poco conosciuta, ma anche perché ostacolata». Troppi gli interessi in questione, uniti all’impossibilità di difendersi da tutti quegli elementi pericolosi per i malati di sensibilità chimica e dai quali sono circondati. Ma a contribuire in maniera preoccupante è l’opposizione dello stesso sistema sanitario. «La Regione Sicilia non può permettersi economicamente il riconoscimento», denuncia Marisa Falcone. Finanziare nuove esenzioni, introdurre sistemi di accoglienza ad hoc, creare centri di ricerca, formare il personale affinché la sindrome possa essere correttamente diagnosticata. Un impegno economico troppo gravoso per un settore al collasso. «Però le cure all’estero sono riconosciute», sottolinea il legale. Sono quattro i centri specializzati al quale gli ammalati si rivolgono: una clinica privata a Londra e i centri ospedalieri in Spagna, Germania e Stati Uniti.

Un passo avanti è stato ottenuto pochi giorni fa. Dopo il tavolo tecnico avviato con l’assessore Lucia Borsellino, sono stati sono stati delineati dei percorsi assistenziali base, una serie di indicazioni generiche inviate ad aziende ospedaliere e policlinici regionali, alle asp e ai centri specializzati. A causa delle particolari insofferenze sviluppate dai malati di mcs sono proprio gli ospedali i luoghi nei quali la loro salute è più a rischio. Dai pavimenti in linoleum ai tubi delle flebo, dai cortisonici più comuni ai guanti in lattice indossati da medici e personale. «A Roma c’è stato un decesso per un semplice antibiotico prescritto per un ascesso ai denti – racconta la presidente dell’Adas – Tutto quello che ci circonda è tossico, soprattutto negli ospedali». Per realizzare un intervento su un paziente affetto da sensibilità chimica multipla servirebbe una sala operatoria totalmente bonificata, un’operazione che richiede tempo. «In Veneto, per permettere ad una nostra socia di partorire con cesario, c’è voluta una settimana. A Catania il nostro punto di riferimento è Teresa Mattina (genetista in servizio al policlinico, ndr), ma in caso di emergenza non potrebbe intervenire».

«Anche aprire una finestra è un rischio – puntualizza Marisa Falcone – Se un vicino stende un lenzuolo appena lavato con un qualsiasi detersivo e un normale ammorbidente io crollo a terra. I detersivi contengono gas che si sprigionano anche dopo tempo». Qualsiasi deodorante, i comuni shampoo, i prodotti per la casa, tutto è potenzialmente letale. E i malati di msc si definiscono «delle sentinelle. Il nostro mondo e le nostre abitazioni sono inquinati, siamo circondati – continua l’avvocato – Tutto è una barriera, si vive in prigione». E l’isolamento pian piano diventa l’unica cura. «Sono un avvocato penalista, non posso andare in tribunale da tre anni. La mia carriera è finita», commenta amaramente Falcone, che in passato ha anche ricoperto per quattro anni la carica di presidente della camera penale del tribunale di Caltagirone. Da qui è nata l’esigenza di farsi portavoce di quanti si trovano nella stessa condizione.

«Come si può chiedere a un datore di lavoro di non usare toner di stampanti e fotocopiatrici, costringere a pulire i pavimenti solo con acqua e aceto, impedire ai colleghi di usare un semplice profumo?», si chiede. E comunque sono troppe le variabili in gioco: anche se si seguono determinate accortezze, si può venire sempre in contatto con qualcuno ignaro che, al mattino, ha utilizzato una lacca o viaggiato in autobus. È come immaginare un mostruoso modello matematico che non lascia scampo. Se anche medici e studiosi si trovano impreparati a gestire casi del genere, dal resto della società «inizialmente si può ricevere un po’ di comprensione», ma presto questa viene meno. «E ci si sente dire “Vada a vivere da sola in campagna”».

 

[Foto di chamomile]

Carmen Valisano

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