Sei stato eletto in Consiglio e non puoi andare a lavorare? Paga il Comune

Alla fine i nodi stanno venendo al pettine. Argomento: i rimborsi che i Comuni riconoscono, anche se indirettamente, ai consiglieri comunali. O meglio, alle aziende presso le quali lavorano i consiglieri comunali. Soldi che, poi, vengono ‘girati’ ai consiglieri.

A sollevare la questione è il parlamentare regionale del Pdl, Marco Falcone (foto a sinistra), che interviene su quelli che definisce “i rimborsi sproporzionati concessi per le assenze dei consiglieri comunali alle aziende presso le quali sono impiegati”.

In pratica, per essere chiari, i consiglieri comunali impegnati nel ruolo di amministratori delle rispettive città non hanno il tempo per recarsi sul posto di lavoro. Chi paga per le assenze? Le aziende presso le quali prestano servizio, no di certo. Pagano i Comuni, che rimborsano i soldi alle aziende.

Solo che, spesso, dietro questi rimborsi si celano situazioni poco chiare, se non delle vere e proprie truffe. Non si escludono i casi di dipendenti presso aziende private che, durante il mandato consiliare, sono oggetto di ‘improvvise promozioni’. Con congrui aumenti di stipendi. E siccome sono consiglieri comunali e non possono recarsi al lavoro per questioni di ufficio (le celebri commissioni consiliari, che si riuniscono dal lunedì al sabato…), ecco che a pagare sono i Comuni, Una pacchia.

“Questa incredibile anomalia rilevata presso il Comune di Catania – osserva Falcone – probabilmente adottata, anche, in molti altri enti (supponiamo che il deputato voglia dire che tale anomalia riguarda tanti altri Comuni ndr), va immediatamente bloccata con uno strumento legislativo che ne fissi modalità e regole”.

Da qui la presentazione, da parte dello stesso Falcone, di un disegno di legge “che regolamenti la materia e parametri l’entità dei rimborsi. E’ ora di porre fine a privilegi e a concessioni di prebende che, oltre a gravare pesantemente sulle casse pubbliche, allontanano sempre più i cittadini dalla politica”.

Tutto chiaro, allora? Non esattamente. “La legge che regolamento questo particolare aspetto della vita pubblica è nazionale – sottolinea Nadia Spallitta, presidente del Consiglio comunale vicaria del Comune di Palermo -. La legge non può essere cambiata dal Parlamento siciliano, perché questo creerebbe disparità tra le Regioni del nostro Paese. Lo Stato deve garantire l’elettorato attivo e passivo. Un’eventuale legge regionale in questo settore sarebbe incostituzionale”.

“Detto questo – aggiunge Nadia Spallitta – il problema esiste e va affrontato. Tagliando la strada ai furbi. Penso, ad esempio, a rigorosi controlli sui consiglieri comunali che lavorano presso aziende private”.

E’ la storia, già accennata, delle ‘promozioni’ i cui costi, alla fine, sono a carico della collettività. Per non parlare dei controlli sui consiglieri comunali che vengono assunti, sempre dalle aziende private, poco dopo essere stati eletti…

 

Redazione

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