Sei denunce di violenze sessuali nella congrega «Le minori dovevano anche servire l’arcangelo»

Tutto sarebbe partito dal testo di una chat consegnata dalla madre di una delle vittime alla polizia postale di Catania. Conversazioni utili ad alzare il velo su quanto si sarebbe celato sotto le popolari insegne dell’associazione cattolica Cultura e ambiente di Aci Bonaccorsi. Nell’arco di un mese d’indagini, poi, gli inquirenti hanno raccolto gli elementi utili nei confronti di Pietro Capuana, 73 anni, la guida di questa comunità laica fondata dallo storico sacerdote della frazione di Lavina, Stefano Cavalli, scomparso nel 2015 a 97 anni. «L’arcangelo» – così si sarebbe fatto chiamare dagli aderenti di quella che il procuratore capo di Catania, Carmelo Zuccaro, non ha esitato a definire «una vera e propria setta» – sarebbe in realtà anche il vertice di un’associazione a delinquere finalizzata alla violenza sessuale aggravata a danno di minori. Abusi che forse andavano avanti anche da 25 anni, come ipotizzano i magistrati valutando le età di alcune delle persone coinvolte che avrebbero confermato le accuse.

Si restringono però a sei le testimonianze chiave – di ragazzine fra i 12 e i 15 anni – raccolte dalla procura etnea che hanno fatto scattare l’operazione 12 apostoli. Oltre alla misura cautelare in carcere per Capuana, sono stati decretati gli arresti domiciliari delle presunte «reclutatrici»: Fabiola Raciti, classe 1962, Rosaria Giuffrida, classe 1960, cassiera dell’associazione, e Katia Concetta Scarpignato, classe 1969. Le donne – le prime due con la carica di «apostoli» – si sarebbero occupate continuativamente, come illustrato dai magistrati in conferenza stampa, di individuare i profili delle ragazzine «più fragili» e per questo buone per diventare l’oggetto delle morbose attenzioni del «santone» Capuana. Alle prestazioni sessuali si sarebbe arrivato tramite una «costante manipolazione» estesa persino alle famiglie delle minorenni vittime che, in qualche caso, sarebbero state a conoscenza di quanto accadeva. Le donne vincevano le resistenze delle giovanissime definendo le violenze atti di «amore pulito» e di «amore dall’alto», occupandosi anche di organizzare dei turni di servizio a casa del capo dell’associazione. Dove le minorenni, oltre a dover avere dei rapporti con l’uomo, in passato funzionario bancario, si sarebbero anche occupate delle faccende di casa e di vestire e lavare «l’arcangelo».

«Emerge un quadro di abusi perpetrati nel tempo, non escludiamo che adesso che possano venire fuori altre vicende e che qualcun altro si spinga a parlare», spiegano dalla procura. A chiarire i contorni della vicenda è la sostituta procuratrice Laura Garufi, titolare dell’indagine, al fianco della procuratrice aggiunta Marisa Scavo, del questore Giuseppe Gualtieri, del dirigente della polizia postale Marcello La Bella oltre che dello stesso Zuccaro. «Settimanalmente Capuana teneva delle locuzioni religiose nel cenacolo della comunità e già in quelle occasioni venivano tenuti comportamenti ambigui – riferisce Garufi – mentre l’uomo arrivava a proclamarsi come la reincarnazione di un arcangelo». 

La religione, dunque, come veicolo per «approfittare» delle debolezze di chi entrava nel circuito dell’associazione. Dove avrebbe regnato uno «stato di totale plagio» fondato su una pressione resa soffocante con l’ausilio del richiamo alla fede. Come spiegano i magistrati, le ragazzine sarebbero state pure multate e «tacciate di non credere in Dio» quando talvolta emergevano dubbi e sofferenze. Sarebbero circa cinquemila gli aderenti a vario titolo a questa realtà cattolica, non tutti ovviamente a conoscenza di quanto sarebbe accaduto intorno a Pietro Capuana. L’associazione si manteneva grazie alla vendita dei prodotti agricoli che venivano coltivati dagli stessi adepti con un giro d’affari di diverse migliaia di euro. Anche sotto quest’aspetto proseguono gli accertamenti degli inquirenti. Nel corso delle perquisizioni nelle abitazioni degli arrestati sono stati rinvenuti almeno 60mila euro in contanti sulla cui origine si indaga. 

Francesco Vasta

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