Di storie del genere se ne sentono sempre più spesso. Ma in un certo senso in Sicilia sono sempre state vissute come lontane, come se non ci appartenessero. E invece anche l’autoproclamata capitale dell’accoglienza sa essere indifferente, feroce, spietata verso chi è in difficoltà. Lo testimonia il racconto di Pietro Milazzo, storico attivista per le lotte sociali che ha attraversato le interiora della città per più di 40 anni. E che fa comunque qualche fatica ad accettare ciò che è successo ieri notte. Forse per questo motivo ha pubblicato le proprie riflessioni sui social, scatenando una ridda di commenti che a distanza di qualche ora non accenna a esaurirsi.
Ma è meglio partire dal principio. È una tarda sera come tante, quella di ieri. Insieme ad alcuni compagni di Potere al Popolo Milazzo sta recuperando l’auto per tornare a casa. Sono nei pressi di Ballarò quando si accorgono che steso a terra, esanime, c’è un uomo. Si tratta di un ragazzo di origini africane che sembra morto, almeno a sentire le urla dei vicini. Che però si guardano bene dallo scendere per strada, e si limitano a segnalarne la presenza a coloro che passano.
«Non c’è molto da aggiungere – dice ancora sconfortato Milazzo – Ci siamo subito avvicinati a lui e io ho visto che respirava ancora, anche se a fatica. Così abbiamo chiamato subito un’ambulanza, che è arrivata in fretta. Gli addetti del 118 ci hanno comunicato che lo avrebbero portato al pronto soccorso del Policlinico, e io sono andato con loro». È qui, però, che avviene il secondo spiacevole tassello di un quadro sconfortante, segnato dall’assenza di solidarietà ed empatia. «Uno di loro, alle nostre richieste di far presto, ha commentato ad alta voce “ma tanto chisti un muorunu mai” (tanto questi non muoiono mai, ndr)».
Una frase certamente infelice, che «gli è scappata, come mi ha detto il suo collega, il quale mi ha spiegato che in realtà lui conosce bene il quartiere e dà spesso una mano. Magari l’avrà pronunciata in un momento di nervosismo, ma certamente è una logica che serpeggia tra la gente». Come dimostrerà, in effetti, anche l’episodio successivo al pronto soccorso. Il ragazzo africano, intanto, così come è stato successivamente accertato, è in fortissima crisi etilica e vanta notevoli dolori alle costole che fanno propendere per una caduta. Sono le tre di notte. E stare svegli a quell’ora nella sala d’attesa di un pronto soccorso, specie se sei costretto da qualche dolore, non è piacevole.
«Una signora, che attendeva da ore che qualcuno aiutasse la madre, guardando la nostra situazione ha detto che “tanto loro sono sempre ubriachi, impasticcati e si ammazzano come i cani”, per questo il ragazzo non gli faceva pena – racconta Milazzo – L’anziana donna ha continuato a commentare: “Ma poi che vengono a fare, i nostri picciotti vanno all’estero e questi vengono a prendere i loro posti”». Quel razzismo quotidiano, esasperato magari dall’attesa in ospedale e certamente covato sottopelle, quel razzismo che viene fuori sempre più spesso, quel razzismo dei penultimi verso gli ultimi scuote Milazzo. Che su Facebook scrive di aver capito «come la mala pianta del rancore sociale e dell’odio possa essere attecchita; specie, purtroppo, fra gli strati popolari. Allora, cari amici e compagni – riflette ancora l’attivista – capite quanta strada dobbiamo percorrere per risollevarci da questa velenosa infezione che è attecchita nella nostra società?».
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