Se nel Sud la gente del popolo difende i criminali

La notizia la apprendiamo da alcuni giornali. Per esempio, da Affaritaliani.it. “I carabinieri di Corigliano Calabro (Cosenza) hanno arrestato Celestino Abbruzzese, alias ‘Asso di bastone’, pericoloso latitante fuggito dall’ospedale di Catanzaro nel marzo scorso. Abbruzzese, condannato per associazione mafiosa e omicidio, è ritenuto il capo dell’omonimo gruppo di ‘ndrangheta di Cassano Ionio. Abbruzzese, classe 47, pluripregiudicato e latitante dal marzo scorso, era evaso dall’Ospedale di Catanzaro dove si trovava ricoverato per motivi di salute. Il pericoloso malvivente si nascondeva nel quartiere Timpone Rosso di Cassano allo Ionio. Durante le fasi della cattura molti abitanti del quartiere si sono riversati in strada per proteggere la fuga del boss. Alcuni Carabinieri sono rimasti contusi”.

Premesso che chi viola legge va perseguito, ci dobbiamo però chiedere perché, nel Sud del nostro Paese, capita spesso che gli esponenti della criminalità organizzata vengano protetti dalla popolazione. Quando ciò avviene – come è successo in Calabria – assistiamo, in genere a due tipi di commenti.

Il primo commento è, in realtà, un non-commento. Giornali e tv si limitano a riportare i fatti lasciando intendere che questi fenomeni sono comunque deprecabili e che, in ogni caso, sono tipici – se non ‘endemici’ – del Mezzogiorno d’Italia. I commentatori più generosi – appartenenti sempre a questa prima categoria – ci spiegano che, in ogni caso, la maggioranza della popolazione non la pensa come chi difende il mafioso o ‘ndranghetista o, ancora, il camorrista di turno.

Poi c’è una seconda categoria di commentatori – fatta di gente verace e sanguigna, tipo leghisti – che, nell’assistere a queste scene, ribadisce che nel Sud non c’è nulla da prendere, che siamo un peso nel Paese, che il Nord dovrebbe dire addio al Sud d’Italia eccetera eccetera.

In queste due categorie di commentatori manca, come dire?, la curiosità di capire perché, nel Sud – soprattutto nei quartieri popolari, ma anche in strati sociali più elevati – la gente preferisce i criminali allo Stato. Il fatto che questi fenomeni siano arrivati fino ai nostri giorni non induce – per esempio – a pensare che, forse, qualche errore, nel rapporto con le genti del Sud, può averlo commesso anche lo Stato. Giammai!

Lo ribadiamo a scanso di equivoci: i criminali vanno perseguiti. Ma invece di rifugiarsi nella retorica sarebbe più utile -anche per combattere meglio queste forme di criminalità organizzata – capire perché, nel 2012, la gente del Sud scende in piazza per difendere i criminali. O perché la gente – come è accaduto oggi a Monreale – invochi la mafia. 

Sono criminali e collusi pure loro? Non ci sembra una spiegazione plausibile. Certo, tra questi difensori d’ufficio non mancheranno i delinquenti. Ma cento, duecento abitanti di un quartiere – spesso non solo popolare – che scendono in piazza per difendere un criminale dovrebbero suscitare altre riflessioni. A cominciare dalla semplice domanda: lo Stato italiano cosa ha fatto, in certe aree del Sud Italia, per apparire migliore della criminalità organizzata?

Il tena è sicuramente provocatorio. E noi – lo ribadiamo ancora una volta – siamo convinti che scendere in piazza per difendere un criminale è un grave errore. Ma siccome non viviamo a Oslo, ma nel Sud d’Italia – area del Paese che lo Stato italiano continua ancora a ignorare e umiliare – dobbiamo provare a capire perché, a 150 dall’Unità d’Italia, si verificano certi fenomeni.

Considerarli come manifestazioni ‘folcloristiche’, come fanno certuni, è un errore. Sparare a zero sul Sud, alla Borghezio, per intendersi, non serve a nulla (si tratta, in questo caso sì, di folclore…). Forse sarebbe il caso di capire perché, nel Mezzogiorno d’Italia -al di là della retorica – lo Stato non è così ‘amico’.

Nei quartieri popolari di Palermo, quando ci si presenta a nome dello Stato, spesso ci s sente rispondere: “Se è una cosa dello Stato non può essere una cosa buona”.

Non sarebbe il caso di cominciare a riflettere su queste cose?

Giulio Ambrosetti

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