Se l’Italia dimentica i propri beni culturali

IL RAPPORTO 2014 DI FEDERCULTURE DESCRIVE UN QUADRO A TINTE FOSCHE: NEL NOSTRO PAESE CALANO VERTIGINOSAMENTE GLI INVESTIMENTI NE SETTORE DELLA CULTURA. ANCHE LE FONDAZIONI BANCARIE SI TIRANO INDIETRO

E’ proprio vero, la storica frase dell’ex ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, ha fatto scuola nell’azione dei governi italiani di qualunque colore e orientamento: “Con la cultura non si mangia”. Il fatto ancora più grave è che il messaggio è arrivato forte e chiaro anche alle aziende private e alle fondazioni bancarie. Dal 2008 a tutto il 2013 gli investimenti in cultura, in qualsiasi forma e specialità essa si presenti, hanno segnato un flop, con cali vertiginosi.

I dati di questo declino sono riportati nel Rapporto 2014 di Federculture, presentato nei giorni scorsi. La notizia è stata riportata sia dal Messaggero che da Artribune con un servizio di Helga Marsala. Dove si legge: “Retorica inutile sul culto della bellezza. Sul patrimonio storico, artistico e monumentale presente in Italia. Inutile vivere di rendita e di autofascinazione. Quel che serve è un intervento organico di lungo respiro, capace di rilanciare la crescita in quello che è il vero settore trainante dell’economia italiana. Almeno allo stato potenziale, la cultura è il vero fattore di sviluppo con i suoi aggregati: turismo, spettacolo, conservazione, paesaggio, eccellenze artigianali, food, moda, cinema, design”.

La nota della Marsala prosegue rilevando che le azioni del Governo Renzi su questo versante sono ancora assai timide, anche se “con i recenti decreti sulla cultura ci si è finalmente avviati sulla strada del rilancio, ma è necessario fare di più”. Segnalazione d’insufficienza che Federculture rivolge ai ministri Dario Franceschini (Beni culturali) e Stefania Giannini (Istruzione).

I numeri a riguardo degli investimenti in cultura sono più che eloquenti. Ma prima di darvi una rapida lettura è bene tenere presente alcuni dati strutturali.

L’Italia possiede il 5 per cento del totale mondiale dei beni riconosciuti patrimonio dell’Unesco, con 50 siti in lista. Questo dato estremamente sintetico la dice assai lunga sul valore del patrimonio culturale del nostro Paese e dà ragione a chi sostiene che queste risorse sono fondamentali per lo sviluppo dell’economia nazionale. Se non si ha contezza di questo dato reale, risulta vincente il detto che con la cultura non si mangia.

I numeri ufficiali degli investimenti incultura dal 2008 a tutto il 2013, rappresentano meglio di qualsiasi argomentazione il declino della politica della tutela e della valorizzazione dei beni e delle attività culturali e ne rappresentano il progressivo declino.

Negli ultimi 10 anni il volume degli investimenti pubblici – Stato e amministrazioni locali – è calato di 1,6 miliardi di euro. Il ministero dei Beni ambientali e culturali prevede per il 2014 investimenti per 1,595 milioni di euro, cioè il 27,4 per cento in meno rispetto a quelli del 2004. La previsione triennale 2014-2016 è di stanziare 1527 milioni di euro in media all’anno, con un ulteriore calo del 3,14 per cento all’anno.

Non sono da meno i privati. Infatti, le sponsorizzazioni verso la cultura e lo spettacolo dal 2008 al 2013 hanno fatto registrare una flessione media del 41 per cento, tranne una leggera risalita del 6 per cento nell’ultimo anno rispetto al 2012.

Anche le fondazioni bancarie hanno ridotto le proprie erogazioni in favore delle attività culturali, passando dai 487,8 milioni di euro del 2006 ai 305,3 milioni del 2013, con un calo netto del 37,4 per cento. Lo stesso vale per le aziende che dal 2008 al 2012 hanno investito il 26,6 per cento in meno.

La tendenza negativa riguarda anche i comportamenti delle famiglie la cui spesa nella fruizione di prodotti culturali (concerti, mostre, teatro, cinema, ecc) ha fatto registrare nel 2013 un calo del 3 per cento rispetto all’anno precedente, mentre nel 2011 era in crescita del 2,6 per cento.

L’unico dato in controtendenza è rappresentato dalle visite ai musei, che registrano, nel 2013, l’aumento del 2,9 per cento del numero dei visitatori e del 7 per cento il volume degli incassi. Incassi che il ministro Franceschini ha lasciato alla disponibilità dei musei per favorirne l’autonomia gestionale (scelta oculata).

Il rapporto di Federculture si conclude con due significative notazioni: l’una riguarda i comportamenti negli altri Paesi europei relativamente alle visite museali; l’altra dedicata al settore turistico che in Italia non va affatto bene.

Con riferimento alla prima il rapporto passa in rassegna il numero dei visitatori delle maggiori nazioni europee da parte dei cittadini dei singoli Paesi: in Italia il 30 per cento, nel Regno Unito il 52 per cento, in Germania il 44 per cento ed in Francia il 39 per cento. Questo per segnalare i ritardi nell’educazione culturale del popolo italiano. E saluta positivamente, dal punto di vista educativo, l’introduzione della visita gratuita ai musei una domenica ogni mese. Una sollecitazione al ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Stefania Giannini, affinché questa spinta alle visite museali venga utilizzata ai fini dell’educazione artistica ed alla crescita civile del Paese.

L’annotazione finale sul turismo è assai puntuale, atteso che questo comparto economico fa segnare, nell’ultimo anno, una leggera crescita del 2,6 per cento. Rimane un grande problema: il nostro Paese risulta carente di servizi e del necessario calore di ospitalità: come se facessimo un favore ai visitatori ad offrire loro le nostre bellezze monumentali e paesaggistiche.

In senso dell’ospitalità – che nel Sud Italia non manca – da solo non basta se non è accompagnato da una più corretta gestione dei beni culturali. Serve a poco anche alle regioni del Mezzogiorno essere ospitali se poi nei musei non presta servizio personale specializzato, in rado, in primi luogo, di parlare le lingue. Con i precari – stabilizzati e no – messi a ‘guardia’ dei musei e, in generale, dei siti culturali, che parlano a malapena l’italiano non abbiamo dove andare!

Infine qualche considerazione su turismo e creatività artigianale, che sono due fattori che concorrono in misura cospicua a sostenere lo sviluppo economico del Paese. Infatti, l’export dei beni prodotti dall’eccellenza creativa artigianale, dei quali il design è un elemento trainante, dal 2002 al 2011 è cresciuto del 65 per cento. A conferma che la creatività è la risultante della stratificazione culturale.

(Foto di prima pagina tratta da daringtodo.com)

Riccardo Gueci

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