Se il ‘Femminicidio’ in Italia è tabù

dal Coordinamento Antiviolenza 21 luglio
riceviamo e volentieri pubblichiamo

 

“Non è un pazzo quello che ha ucciso Carmela. E’ uno che l’omicidio lo ha premeditato e che si è sentito legittimato a farlo da una società in cui una donna non è libera di lasciare il suo ragazzo, perché nella nostra società la donna è trattata come un oggetto.”

Queste parole sono di una compagna di Carmela.

Siamo scese in piazza per la seconda volta dopo il 21 luglio (allora in occasione della morte di Maria Anastasi, uccisa dal marito al nono mese di gravidanza), questa volta per Carmela, morta “per errore” a 17 anni, per difendere la sorella dalla furia dell’ex fidanzato.

Abbiamo deciso di esserci, di rompere il silenzio e di disegnare i contorni complessi del fenomeno per individuarlo e definirlo, sennò non potremo combatterlo. A luglio siamo scese in piazza con quello striscione per dare un nome alle cose. (a sinistra, foto tratta da salvatore-maresca-serra.com)

“Basta Femminicidi” diceva e dice il nostro striscione. Per chiedere a tutti un’assunzione di responsabilità.

Parlare di Femminicidio in Italia è tabù. Lo scontiamo ogni giorno questo tabù nelle mille resistenze che incontriamo come coordinamento. Tra la gente, tra di voi, tra di noi, nei media, non solo nelle Istituzioni. Il primo passo è questo: dare un nome alle cose. Non è passione, non è gelosia, non è follia. E’ Femminicidio. Non è omicidio: è Femminicidio. Si ammazza una donna perché si pensa di possederla e perché non si accetta di perderne il possesso. E’ sempre lo stesso clichè. “O mia o di nessuno”. Perché non se ne accettano indipendenza e autonomia. Perché si vuol ledere la sua libertà. Ecco cos’è il Femminicidio e non esistono altre parole.

Si picchia, si violenta e si uccide. Accade continuamente ed è accaduto due giorni fa e continuerà ad accadere se non facciamo qualcosa. I numeri delle violenze sono agghiaccianti. Come i numeri del femminicidio. Una donna ogni due giorni.

Dopo il dolore è necessario trasformare l’indignazione in azione, per questo è il momento di assumerci delle responsabilità politiche, tutti quanti, per chiedere una presenza reale delle Istituzioni con azioni precise e concrete. Presenza che ad oggi non c’è stata. L’ONU ha accusato le Istituzioni italiane di negligenza per quel che riguarda le morti violente delle donne causate da motivi di genere, definendo il Femminicidio in Italia come CRIMINE DI STATO.

Ci sono provvedimenti e azioni concrete che posso essere intraprese al di là della retorica dell’emotività del momento che troppo spesso lascia spazio all’oblio. (a destra, foto tratta da donne-e-basta.blogspot.com)

1. Chiediamo che venga introdotto il reato di Femminicidio. Chiediamo che si agisca concretamente sul piano dell’educazione, della prevenzione e della tutela.

2. L’educazione riguarda la sfera culturale collettiva. Il problema della violenza sulle donne è culturale, sociale e investe tutti.

E’ necessario educare gli educatori alla cultura e al rispetto per ogni alterità a partire da quella di genere. Che la trasmissione della conoscenza preveda in ogni momento la trasmissione e l’educazione al rispetto reciproco e al valore della libertà di essere uguali e diversi.

E’ necessario educare i genitori.

E infine è necessario educare i ragazzi.

Dobbiamo cambiare la grammatica dell’esistenza. Dal maschile plurale si passi nei libri come nel quotidiano alla somma delle donne e degli uomini, delle ragazze e dei ragazzi. Fin dalla nascita. Ovunque: nelle scuole, nei luoghi di lavoro, sugli organi di informazione.

Non è difficile, basta volerlo.

Educare la società, come anche informarla. Informarla bene, con criterio e rispetto. Sui numeri come anche nei comportamenti da correggere.

Chiediamo che si agisca sui mezzi di comunicazione e sulla pubblicità con una legge di rispetto e di tutela della persona e del corpo, che aggiri le accuse di bigottismo e separi con maturità e consapevolezza la libertà di espressione collettiva e individuale dal necessario valore da dare all’immagine della donna e dell’uomo.

Per far sì che le donne e gli uomini tornino ad essere soggetti della vita e non oggetti mercificati in una collettività ridotta a clienti.

Perché dai pezzi di corpo che vediamo tutti i giorni ad ogni ora e ovunque è sottilmente e pericolosamente facile passare ai corpi a pezzi. E perché i bambini ci guardano.

Chiediamo che il racconto delle violenze assuma i caratteri del dovere di informare, nel rispetto totale e umano delle vittime e non del gusto di provocare e di arrivare in modo facile alla pancia dei lettori. Perché anche scrivere su un giornale diventi strumento di civiltà e non di oppressione o di diffusione di stereotipi mistificanti.

3. Prevenzione.

Chiediamo che la prevenzione si attui in ogni livello: educando le forze dell’ordine e mettendo in rete tutte le informazioni connesse alla tutela e all’aiuto delle donne in pericolo.

Chiediamo, e questo si può fare subito e a costo zero, una giornata di sensibilizzazione nelle scuole, per comunicare, in ogni ordine e grado degli studi la cultura del rispetto. Per istillare in modo semplice, chiaro ma perentorio la complessità e il valore estremo dell’essere diversi, e la condanna di ogni violenza, sempre e comunque, per qualunque motivo, senza attenuanti (follie, raptus, gelosie, atteggiamenti, modo di essere o di vestire…), senza se o ma.

E che si comunichino le informazioni essenziali in caso di pericolo.

Forse molte donne non sarebbero morte se avessero saputo che con una semplice e gratuita telefonata potevano accedere alle reti antiviolenza che sono presenti in ogni città. Ci sono, agiscono, ma le ragazze e i ragazzi non lo sanno. Come anche molte donne. Basta una locandina perenne nella bacheca di ogni scuola per veicolare informazione e consapevolezza.

4. Tutela.

Chiediamo provvedimenti in merito alla tutela. Oltre alle azioni legali e giuridiche da mettere in atto per tutelare le donne in pericolo chiediamo un supporto finanziario e istituzionale ai centri antiviolenza. Alle forze dell’ordine, agli operatori sociosanitari e ai presidi sociali collettivi, intensificando la formazione degli operatori e la messa in rete delle attività e dei servizi.

E infine chiediamo a voi, a noi, di non abbassare mai l’asticella dell’attenzione, di mutare il nostro linguaggio, di non lasciarne passare mai una, di interrogarci sulle parole, sulle azioni, persino sulle battute, per trasformarci tutti quanti in presidio educativo permanente, perché tutto ciò potrebbe accadere anche a noi e ci riguarda in prima persona come donne, uomini, mamme, papà, sorelle, fratelli, amiche o amici.

Per aggredire da dentro la legittimazione e la rimozione collettiva che oggi c’è nei confronti della violenza sulle donne.

 

 

Redazione

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