In Sicilia la prima campanella post Covid-19 suonerà il 14 settembre, con la possibilità per i presidi di posticipare al massimo di dieci giorni. Prima di rientrare in classe, però, il personale docente e non docente – di nidi, scuole dell’infanzia, scuole primarie, secondarie di primo e secondo grado, istituti di istruzione e formazione professionale – dovrebbe sottoporsi, gratuitamente e su base volontaria, ai test sierologici. Un prelievo del sangue che può rilevare un eventuale contatto con il nuovo coronavirus.
Lo screening sull’Isola per i circa 105mila lavoratori del mondo della scuola sarebbe dovuto iniziare lunedì 24 agosto ma i kit per poterlo effettuare sono stati distribuiti ai medici di famiglia tre giorni dopo. Un ritardo a cui si aggiungono altri problemi che potrebbero rendere difficile riuscire a completare le operazioni entro l’inizio dell’anno scolastico. Insegnati e personale che si rifiutano di sottoporsi al test, medici di base che non hanno dato la propria disponibilità a effettuare l’esame, qualche difficoltà a mettersi in contatto con le Asp.
«In questa situazione ci sono molti problemi – spiega a MeridioNews Domenico Grimaldi, segretario provinciale di Catania della Federazione italiana medici di famiglia – Prima di tutto, però, credo si tratti di un difetto di impostazione generale nella comunicazione sia nei confronti degli operatori sanitari che del personale scolastico». In particolare, i medici di base hanno lamentato di non avere avuto indicazioni precise. «Molti di loro continuano a chiedersi quale sia il protocollo da adottare in caso di riscontro di una positività al test sierologico: per esempio, si deve chiudere lo studio in attesa del tampone orofaringeo (da effettuare entro le successive 48 ore restando in isolamento domiciliare fiduciario fino all’esito, ndr) e stare in quarantena? In realtà – risponde Grimaldi – questo non è necessario perché i rischi di una eventuale contaminazione sarebbero annullati dalle protezioni individuali da indossare nei pochi minuti in cui si effettua il test».
Per ovviare a questo eventuale problema, e anche a fronte delle sole cinquecento richieste di test arrivate, l’Asp di Palermo ha deciso di organizzare due unità mobili a bordo di camper che andranno davanti ad alcuni istituti scolastici. Anche l’azienda sanitaria etnea ha avviato delle interlocuzioni con gli istituti che ne hanno fatto richiesta per organizzare la somministrazione dei test nelle scuole. In Sicilia un’altra difficoltà sarebbe da collegare «a un ritardo da parte della Regione – spiega Grimaldi – nel consentire ai servizi di igiene pubblica dell’Asp di collaborare con i medici di base utilizzando sia strutture che personale delle aziende sanitarie locali».
Altra resistenza è quella dei lavoratori del settore scolastico che scelgono di non sottoporsi allo screening. «Anche in questo caso – commenta il segretario della Fimmg – penso si dovesse puntare di più sull’aspetto della comunicazione: bisognava veicolare di più il messaggio che fare il test sierologico è fondamentale dal punto di vista sociale per la prevenzione della malattia infettiva. Al di là del fatto di sapere se ho anticorpi o se ho avuto contatti con il virus – sottolinea Grimaldi – si tratta di una questione di salute pubblica». In effetti, lo scopo del test è soprattutto di natura epidemiologica, non tanto diagnostica o terapeutica. «Dal numero dei positivi, il dato che traiamo è l’entità della circolazione del virus nella popolazione. Quindi – fa notare – più alto è il numero di test e migliori sono i dati che la scienza può trarre per la prevenzione». Il test rimane comunque da effettuare solo su base volontaria. «Il governo – spiega Grimaldi – non può obbligare nessuno a sottoporsi a un controllo del genere ma non è escluso che possa arrivare un momento in cui sarà così».
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