«Io ho ricevuto una telefonata da una giornalista che era stata impacchettata come era stato impacchettato Paolo Borrometi». A parlare è il sindaco di Scordia, Franco Barchitta, durante l’ultimo consiglio comunale. Un intervento necessario a commentare, tra le altre cose, un convegno tenutosi nel suo Comune diversi giorni prima. Occasione in cui, tra gli ospiti dell’associazione antiracket Aseas Scordia, era intervenuto il cronista dell’Agi Paolo Borrometi, citando un articolo di questa testata a proposito dei rapporti fra il primo cittadino e Rocco Biancoviso. L’imprenditore del centro agrumicolo ritenuto dalla procura etnea uomo di fiducia della famiglia catanese di Cosa nostra Santapaola-Ercolano e arrestato, nello scorso mese di gennaio durante l’operazione antimafia Chaos 2, che riguardava tra le altre cose i lavori della fibra ottica.
È lo scorso 23 gennaio quando la giornalista di questa testata Luisa Santangelo telefona al sindaco. Lo stesso giorno in cui i dipendenti comunali, recandosi a lavoro, avevano trovato porte divelte, documenti gettati in aria e il furto di 72 assegni – già intestati, e del valore di poco più di cinquanta euro ciascuno – per i buoni libro. Questo, all’indomani della pubblicazione di una nota in cui, sollecitata da più parti politiche, l’amministrazione annuncia di volersi costituire parte civile in un eventuale processo. «Ci sentivamo spesso perché denunciava l’abusivismo dei chioschi nati sul territorio senza alcuna regolamentazione», così aveva risposto Barchitta alla domanda sulla sua conoscenza dell’imprenditore scordiense.
Senza celare la propria agitazione, durante la riunione del civico consesso, il primo cittadino ha ricostruito la telefonata. «La giornalista mi ha chiamato chiedendomi se poteva fare una veloce intervista telefonica. “Lei conosce Biancoviso?” mi ha chiesto. Potevo dire di no ma ho ammesso di conoscerlo e di aver ricevuto da lui delle telefonate in cui parlavamo di legalità. Dopo di che – continua – la giornalista mi ha chiesto se avessi partecipato a un incontro in una campagna. A questo punto, io le ho dato la mia disponibilità a farle arrivare le mie dimissioni in cambio della dimostrazione provata dell’esistenza di questa ipotetica riunione». Così, stando a quanto pubblicamente affermato dal primo cittadino durante la seduta registrata del consiglio comunale, la cronista avrebbe detto «ho capito e le chiedo scusa». Parole, in realtà, mai pronunciate.
«Le scuse, comunque, non bastano. Queste sono cose che ci vedremo con la magistratura», ha proseguito il sindaco che ha poi concluso affermando ironicamente di non poter «dire al mio cellulare di non ricevere telefonate da certe persone. Questo, in ogni caso, non ha nulla a che vedere con i problemi veri che attanagliano questa città». Riferendosi a Paolo Borrometi, il sindaco Barchitta prosegue: «Quando era qui il giornalista ha detto delle cose fuori posto perché non è corretto venire a Scordia avendo già preso delle informazioni per dare delle pagelle e – conclude – io sono una persona per bene non perché lo dica lui».
Il cronista dell’Agi replicando a Barchitta dice: «Io sarei impacchettato solo perché ho preso informazioni prima di andare a un convegno in città. Purtroppo, per deformazione professionale, prima di andare in qualsiasi posto, mi informo, prendo notizie, studio la realtà. A maggior ragione a Scordia, luogo sconvolto da un’importante operazione coordinata dalla Procura distrettuale antimafia di Catania. È così – aggiunge – che, nel cercare informazioni, mi sono soffermato sull’articolo di Luisa Santangelo che, per il sindaco di Scordia, sarebbe stata impacchettata ancora prima di me. Se fossi nel sindaco – conclude – mi preoccuperei di più di chi lo chiama, piuttosto che insultare due giornalisti. Fare domande, studiare, verificare e pubblicare non vuol dire essere impacchettati».
Un attestato di solidarietà ai giornalisti è arrivato da Scordia Bene Comune. «Sono definizioni lontane chilometri da chi, come i due cronisti, quotidianamente lotta contro la criminalità organizzata con professionalità e coraggio. Continuiamo a ribadire – aggiungono – che noi saremo sempre dalla stessa parte, quella di chi ha il coraggio di denunciare, quella di chi con coscienza sceglie i posti da frequentare, i luoghi in cui spendere, la strada da percorrere». Stessa lunghezza d’onda dell’associazione Asaec antiestorsione Catania, che partecipava al convegno adesso nell’occhio del ciclone: «È necessario prendere una posizione netta, decisa, semplice, il più delle volte coraggiosa, ma che serve ad abbattere quel muro del compromesso morale che alimenta il clima di oppressione che caratterizza il sistema di corruzione mafiosa».
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