Scandalo Iacp, parla il direttore «Vittima di sindacati e denunce a tinchitè»

«Lasciamo perdere». Nessuna voglia di commentare all’Istituto Autonomo Case Popolari di Catania. Mentre aspettiamo di essere ricevuti dal direttore generale Santo Schilirò Rubino chiediamo alla guardia all’ingresso che atmosfera c’è dentro l’Iacp etneo da quando è scoppiato lo scandalo che vede imputato il direttore, insieme ad altre dieci persone di cui tre dipendenti dell’istituto, per assegnazioni irregolari, falso e truffa. Schilirò infatti è ancora a capo dell’ente, nonostante le accuse e nonostante l’istituto abbia manifestato la volontà di costituirsi parte civile nel processo contro di lui. Da parte sua non arriveranno dimissioni e nessuna sospensione è arrivata da parte della Regione.

Sottoposto alla vigilanza dell’Assessorato regionale ai lavori pubblici, l’Iacp è un ente pubblico autonomo e strumentale della Regione per la gestione dell’edilizia popolare e sovvenzionata. Nel territorio etneo ha circa 8800 alloggi, di questi 2126 sono occupati abusivamente, mentre circa mille sono in canone-sanzione: i loro affidatari devono pagare il canone massimo di 200 euro perché non forniscono la documentazione, richiesta dall’istituto ogni due anni, utile ad aggiornare i dati sul reddito e permettere quindi l’adeguamento del canone.

L’istituto costruisce e affitta gli alloggi, ma l’assegnazione è di competenza del Comune. Dall’ultima graduatoria valida, che è del 2002, risulta che ci sono circa 6mila richieste di cittadini in attesa di case popolari. Le graduatorie quindi sono vecchie e non aggiornate. Per questo, quando si verifica disponibilità di alloggi, si impiega molto tempo per riverificare i requisiti per l’assegnazione. Ed è quasi sempre in quest’arco di tempo che le case vengono occupate abusivamente.

Al momento l’Iacp catanese non ha alloggi disponibili. Gli ultimi lavori di costruzione – di tre torri nella zona di viale Biagio Pecorino a Librino per un totale di 216 alloggi – sono iniziati nel 2002 e sono fermi dal 2006, a causa del fallimento della ditta alla quale erano stati affidati, in attesa che si proceda al riappalto.

Quando tutto va bene – e non ci sono intoppi come nel caso delle torri di Librino – il tempo medio di attesa prima di avere assegnata una casa è di tre o quattro anni. Nella realtà però i tempi si allungano. Per esempio, nel 2004 sono stati assegnati alloggi sulla base della graduatoria del ’96, quindi i richiedenti hanno dovuto aspettare almeno otto anni.

Commissariato dal 2008, l’Iacp dovrebbe avere una dotazione organica di 126 persone, i dipendenti in servizio però sono solo 56. È in fase di espletamento l’assunzione di 17 impiegati in seguito a un concorso del 2009 e si stanno completando i bandi per la nomina di quattro dirigenti per le aree amministrativa, contabile, tecnica e legale. Allo stato attuale c’è un solo dirigente di ruolo. Il direttore generale Santo Rubino Schilirò, rinviato a giudizio per abuso d’ufficio, truffa e falso ideologico e accusato di cattiva gestione.

Dipendente Iacp dal 1972, nel ‘98 è diventato direttore generale facente funzione e da allora è a capo dell’ente. Ci riceve nella sala riunioni perché nella sua stanza non c’è spazio. Il tavolo e tutte le sedie, almeno cinque, sono stracolme di montagne di fogli di carta alte mezzo metro. «In ogni sedia ci sono determinate pratiche», ci risponde quando gli chiediamo per prima cosa come fa a trovare i documenti.

La Procura della Repubblica di Catania stima danni per oltre 30 milioni di euro alla pubblica amministrazione per una presunta cattiva gestione negli ultimi decenni dell’Istituto. L’Iacp non avrebbe infatti eseguito il recupero di morosità dei canoni d’affitto. Perché?
«Noi cerchiamo di farlo. Molte volte siamo arrivati alla pratica legale, ma alla fine non solo non recuperiamo i soldi, ma dobbiamo pagare pure l’avvocato».

Eppure potreste sfrattarli senza dover fare ricorso a un provvedimento del giudice, no?
«Quando si tenta di buttare fuori gli inquilini andiamo in Prefettura, facciamo riunioni con i Comuni, ma alla fine ci si rende conto che non si possono sfrattare 2mila persone e quindi le istituzioni non ci danno assistenza. Questo è il dramma. È facile parlare di morosità. Per esempio adesso, con la crisi che c’è, si può pensare di buttare fuori le persone?».

Lei è stato rinviato a giudizio per aver assegnato alloggi a chi non aveva i requisiti. Come risponde a queste accuse?
«Le accuse riguardano l’assegnazione di alloggi in seguito a un bando speciale per lavoratori dipendenti del 1990. Gli alloggi sono stati completati nel 2005 mentre la graduatoria era del ‘93, quindi abbiamo dovuto riverificare i requisiti. Solo 108 dei richiedenti in graduatoria sono risultati idonei, perciò dei 144 alloggi disponibili 36 sono rimasti vuoti. A quel punto si dovevano trovare degli assegnatari che non potevano essere quelli delle graduatorie di richiedenti con reddito basso, perché il canone era l’80 per cento dell’equocanone, quindi non alla portata di persone con difficoltà economiche. Per aggiornare la graduatoria ci sarebbero voluti minimo due anni. Dato che il comune non poteva rispondere alla nostra richiesta, abbiamo deciso di chiedere ai sindacati di segnalare delle persone idonee. Io ho firmato le determine di assegnazione, come per tutti gli altri. Se qualcuno dei richiedenti ha dichiarato il falso non è colpa mia. Se siamo stati indotti all’errore, semmai la colpa è dei sindacati che hanno segnalato i nominativi. Io ho solo cercato di trovare in fretta gli assegnatari e per la prima volta nessun alloggio è stato occupato. Ero anche contento. E ora questo è il premio».

Ma se le case sono state assegnate a gente che non aveva i requisiti è come farle occupare abusivamente e toglierle a chi ne aveva il diritto.
«Non è stato leso il diritto dei richiedenti in graduatoria, perché la graduatoria è stata utilizzata tutta. Io ho solo firmato pratiche istruite da altri. Non posso rifiutare di firmare. Se lo faccio, devo motivare il rifiuto e prima di arrivare da me i documenti vengono firmati da  quattro persone. Non avevo motivo di dubitare».

Ma un direttore generale con la sua firma si prende delle responsabilità. La colpa è quindi di chi ha istruito le pratiche?
«No, perché quelle pratiche, vista l’emergenza, sono state istruite basandosi su dichiarazioni sostitutive, quindi la colpa è di chi ha dichiarato il falso».

Con provvedimento dell’8 novembre ha disposto la revoca degli alloggi agli assegnatari che risultano imputati insieme a lei nel processo che inizierà a marzo. Come mai ha deciso di farlo proprio qualche giorno prima dall’udienza preliminare e soprattutto dopo cinque anni dall’assegnazione?
«Visto che c’erano indagini in corso su quei nominativi mi è sembrato giusto verificare se quello che all’epoca hanno affermato nella dichiarazione sostitutiva corrispondeva a verità, richiedendo loro la documentazione a supporto. Su sette uno, Mario Tudisco, ha dimostrato che allora aveva i requisiti e che li ha ancora, infatti non è stato rinviato a giudizio. Ciò prova che il principio è imparziale e funziona. Agli altri sono stati revocati gli alloggi e dovranno lasciarli. I tempi dipenderanno dalla procedura civile. Non ho comunicato al magistrato che la revoca è effettiva, ma solo che abbiamo avviato il procedimento. Non me la sono sentita, perché un po’ di dignità ancora ce l’ho. E poi in questo momento qualsiasi cosa faccio è vista con sospetto. Se il mio errore è aver messo una firma, allora mi dovrebbero fucilare. Abbiamo 8mila alloggi in cui a volte vivono famiglie con carcerati e drogati. Pensa che le dichiarazioni che fanno siano tutte veritiere? Chi deve fare i controlli li faccia,  non sono certo io a impedirlo».

Ma se l’Iacp è l’ente gestore, non dovrebbe essere lui per primo a fare i controlli?
«Per legge ha validità l’autodichiarazione e noi alla legge dobbiamo sottostare».

Le si contesta anche l’assegnazione a suo figlio Ettore di una bottega in piazza Spedini alla fine del 2006.
«Io mi sono astenuto. Nessuna carta relativa a quella assegnazione ha la mia firma. L’ho comunicato a voce ai colleghi, perché mi sembrava superfluo puntualizzare in una lettera ufficiale i motivi per cui mi dovevo astenere, visto che il cognome era uguale. Non ho fatto pressioni. Ho solo cercato, come padre e non come direttore, di aiutare un povero disoccupato, sposato e con due figli a carico».

La spesa stimata per il ripristino della bottega è di più di 25mila euro, ma suo figlio ha documentato lavori solo per 3500 euro. E inoltre gli è stato autorizzato il recupero del denaro tramite riduzione dell’80 per cento del canone d’affitto, mentre il regolamento interno dello Iacp ammette la riduzione solo del 20 per cento al mese.
«Non è vero, non c’è un regolamento con queste percentuali. L’ente ha circa 500 botteghe di cui due terzi sono distrutte e nessuno le vuole. Mio figlio si è assunto l’onere di ristrutturarla, a beneficio dell’Iacp che è il proprietario del bene. E poi in realtà i lavori eseguiti valgono 9mila euro, come attesta la perizia giurata depositata al tribunale».

Ma le spese effettuate per i lavori devono essere documentate.
«Buona parte sono stati fatti da mio figlio stesso. Per le spese dei materiali ci sono le fatture, ma la manodopera e i lavori fatti autonomamente sono difficili da documentare. Gli operai d’altronde oggi non vogliono fatturare».

Però il lavoro in nero è illegale e un ente pubblico non può avallare una cosa del genere.
«Se faccio io stesso i lavori, se mi aiuta un amico, se mi pago un operaio e invece a lavorare sono in tre che c’è di male? Quella bottega non ha neanche l’abitabilità. Chi è veramente il truffato? Mi dispiace solo che mio figlio si trovi in questi guai senza avere colpe. Quasi quasi dovrebbe essere lui a denunciarmi, non certo l’ente».

Lei è anche accusato di aver falsificato degli atti, lasciando vuoti alcuni protocolli.
«Un atto per cui sono accusato di falso è una svista, infatti ho anche scritto una lettera di rettifica. E quando mi si accusa di lasciare numeri di protocolli vuoti invece è solo dimenticanza. C’era il numero di protocollo e la data, mancava solo il documento scannerizzato. Me lo sono scordato. È un reato?».

Ma si protocolla proprio per stabilire data certa e veridicità di un documento.
«Non capisco che male ho fatto all’ente dimenticando un protocollo. Inoltre, se fossi stato addetto al protocollo mi si sarebbe potuto accusare di queste cose, ma mica li ho protocollati io».

L’atmosfera a lavoro sarà pesante, visto che l’istituto sarà parte civile nel procedimento contro di lei.
«Vedremo come andrà il processo. Non ho commesso reati contro l’ente, non sono accusato di associazione mafiosa, peculato, corruzione o concussione. Tutto quello che è successo va a suo favore. Grazie a me anzi l’istituto ha risparmiato un sacco di soldi, come gli stipendi di tre dirigenti. E se avessi tolto case a qualcuno come minimo mi avrebbero preso a legnate».

Per anni lei ha concentrato su di sé le cariche più importanti. Le sembra così strano che la si accusi di essere un accentratore?
«Che colpa ho se tutti tranne me se ne sono scappati? Io per carattere cerco di trovare sempre le soluzioni e mi sono preso in carico tutti i problemi. Sono un folle perché cerco di sopperire alle mancanze di tutti. Copro le fasi amministrative e contabili, ma mi avvalgo di dieci capiservizio».

Gira voce che la sua carica sia scaduta ad ottobre. Perché è ancora al suo posto di direttore?
«Perché non è vero. La mia carica scade ad agosto dell’anno prossimo. Sono direttore generale dall’agosto del 2002 in base alla legge 145 dello stesso anno, e l’incarico mi è stato rinnovato nel 2007 per altri cinque anni».

Ma perché visti i capi di imputazione e la situazione delicata non si è dimesso, in attesa di conoscere l’esito del processo e per far cessare le polemiche?
«Innanzitutto sono imputato e non condannato. E non capisco qual è il reato che avrei commesso. Sono altri che hanno dichiarato il falso. Io ho fatto solo il mio dovere e questo mi ha sicuramente attirato l’antipatia di qualcuno, oltre a tutte le denunce di questi anni. Denunce a tinchitè, visto che seguono la mia persona e non il fatto. Sono i fatti che vengono cercati per denunciare me. Ma sono sempre stato assolto. L’anno prossimo andrò in pensione, dovrei rovinarmi la pensione? Chiedo solo di essere lasciato in pace un altro anno».

[Foto di framino]

Agata Pasqualino

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