Ergastolo confermato per il boss di Cosa nostra Vincenzo Aiello. L’uomo, detenuto al regime del carcere duro a Parma, è stato ritenuto anche in appello colpevole dell’omicidio di Angelo Santapaola e Nicola Sedici. I due vennero uccisi il 26 settembre 2007 all’interno di un macello abbandonato nella zona industriale di Catania. Con Aiello si è visto confermare la sentenza di primo grado anche Salvatore Di Bennardo, lavagista di Palagonia e parente del boss locale Alfonso Fiammetta, condannato a tre anni e quattro mesi per favoreggiamento. Quest’ultimo, secondo l’accusa, si sarebbe occupato di pulire le tracce di sangue che erano rimaste in una macchina, utilizzata quel giorno per trasportare i cadaveri all’interno di un casolare abbandonato in contrada Monaco a Ramacca.
Le due vittime vennero trovate qualche giorno dopo dai carabinieri. I loro corpi, carbonizzati e avvolti in alcuni sacchi per l’immondizia, erano irriconoscibili. Per risalire all’identità furono decisive le fedi nunziali e le analisi scientifiche. Angelo Santapaola in quegli anni si era ritagliato uno spazio importante dentro Cosa nostra catanese. Grazie a un cognome eccellente e alla parentela con la famiglia di sangue dello storico capomafia Nitto, aveva scalato le gerarchie diventando il reggente. Un personaggio bollato dai pentiti durante il processo come un «prepotente che non si curava delle regole» e «senza scrupoli», con dei modi di fare che spesso non venivano condivisi e che portarono a una frattura insanabile con diversi boss. In alcuni casi, per esempio, veniva accusato di tenersi i soldi delle estorsioni. Marginale il ruolo di Nicola Sedici, descritto come un uomo fidato di Santapaola. Una sorta di guardaspalle che lo seguiva e proteggeva.
Decisivo per la ricostruzione dei fatti è stato l’ex reggente Santo La Causa. Il boss, diventato collaboratore di giustizia negli anni scorsi, ha accompagnato personalmente i magistrati Antonino Fanara e Agata Santonocito sul luogo del duplice omicidio. L’uomo ha indicato come esecutore materiale Orazio Magrì: «Sparò nella nuca sinistra di Nicola, che non si accorse nemmeno di morire perché colpito da dietro. Poi toccò ad Angelo dopo qualche secondo, gli esplose un colpo al petto spingendolo per due metri e poi gli sparò in testa». Parole che sono state riscontrate da un lungo lavoro collegato alle intercettazioni e alle celle d’aggancio dei telefoni, che hanno consentito agli inquirenti di tracciare gli spostamenti che avvennero in quella giornata di fine settembre.
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