Sant’Agata tra folklore e religiosità Padre Resca: «La fede è un’altra cosa»

Cittadini! Viva Sant’Agata!
Mi piace questa acclamazione che non chiama i catanesi cristiani, cattolici, ma “cittadini”; e pensavo a quanto bisogno di “cittadinanza” vera, autentica, ci sia in questa città, purtroppo priva di senso civico, di spirito di collaborazione, di interesse al bene comune, di cura per le cose di tutti, dal verde della aiuole, alla pulizia delle strade, dal rispetto del codice stradale, alle più elementari regole di convivenza, una città in cui sono sotto processo amministratori che hanno fatto uso disinvolto del pubblico denaro e manca l’essenziale soprattutto per la gente particolarmente priva di assistenza e di servizi umanamente decenti
Una “cittadinanza” assente che però, dietro il fercolo della santa, grida: “W Sant’Agata”. Non è fuor di luogo, per una comunità cristiana interrogarsi sul significato di questa festa. Agata, la cui esperienza di vita certamente noi tutti conosciamo, è stata una ragazza forte e decisa.

Ai suoi tempi essere cristiani, testimoniare Cristo non era una cosa facile e tranquilla.
Il contesto religioso e sociale di quei tempi, lo stesso Stato non accettava i cristiani, i quali erano spesso, se coerenti con la testimonianza della loro fede, costretti al martirio.
Essere fedeli a Cristo non era un fatto privato. Tanto è vero che, se fosse stato privato, nessuno li avrebbe disturbati e perseguitati. Il loro modo di vivere, il loro modo di pensare loro modo di fare era diametralmente opposto al modo di fare, di vivere, di pensare comune. La religione dei cristiani, a quei tempi era una testimonianza di fede, di speranza, di amore, di impegno spesso diametralmente di segno contrario al modo di vedere e di pensare e di agire di tutti gli altri. Anche i riti, le processioni, le feste religiose pagane non li attiravano per nulla; essi li consideravano come superstizioni indegne della vera fede in Dio.

Sant’Agata è testimone di tutto questo.
Per questo è stata imprigionata.
Per questo è stata torturata.
Per questo è stata uccisa.
Per questo la chiamiamo “santa”..

Io non lo so, non ho contatti diretti con il paradiso.
Ma sarei tanto curioso che ne pensa la stessa Sant’Agata della sua festa che, per gli strani scherzi del destino, ricalca, come molte feste dei santi ai nostri giorni, le feste pagane dei suoi tempi. Perché la festa di Sant’Agata, stiamo attenti, è una festa religiosa, anzi religiosissima. La festa religiosa più bella del mondo, la definiscono, con un pizzico di esagerazione, i “devoti”. Il culto, il voto, la processione, la candela, il cero, gli evviva a Sant’Agata o a San Gennaro quando rinnova il miracolo sono uno stupendo fenomeno religioso, popolare, spontaneo, umano. Se andate su Internet, li potete vedere, con alcune trascurabili varianti, in India come nel Tibet, in Africa o in Mongolia come espressione della religiosità di quei popoli. Assicurarsi la protezione dei santi, (o degli dei) onorarli, pregarli, far loro dei voti, accendere lumini e candele per assicurarsene la protezione, è un modo di fare comune a tutti gli uomini religiosi, in ogni parte del mondo.Fanno parte del concetto naturale di religiosità.
Io faccio qualcosa per Dio, faccio un sacrificio, come facevano gli ebrei, un bue, una capra o una pecora, faccio un voto, accendo una candela… più grossa è la candela più grande è la mia religiosità… e la divinità o i santi, nel nostro caso, sono tenuti a fare qualcosa per me, vengono incontro ai miei bisogni, soddisfano le mie necessità, risolvono i miei problemi. Questa è religione, e come religione va benissimo.
Il guaio è che il cristianesimo, quel cristianesimo che Agata ha vissuto, che ha fatto di lei una martire, una santa, è un’altra cosa.

Lei lo sapeva che Cristo è venuto per indicarci strade completamente diverse per realizzare il nostro rapporto con Dio.Lei ha capito che Cristo non ci insegna a mettere al sicuro noi stessi.
Lei ci ha detto e ancora ci dice che è necessario perdersi per salvarsi, che è necessario portare la croce, affrontare la morte per testimoniare Cristo, farsi carico, mettersi sulle spalle i mali del mondo non le vare dei santi. Offrire a Dio non le candele per ottenere una grazia, ma, giorno per giorno, la propria vita per essere vicini agli altri.
Lei certamente avrà meditato quelle parole di Cristo nel vangelo di Matteo: “Non fate come i pagani che quando pregano sprecano molte parole, credendo di essere esauditi a furia di parole”. (Immaginiamo le urla dietro la vara…) “Il padre vostro celeste sa di che cosa avete bisogno. Cercate anzitutto il regno di Dio, e vedrete che tutto il resto, tutte le altre cose, vi saranno date in più…”

C’è molta, moltissima religiosità, nella migliore delle ipotesi nei devoti che vestono il sacco e vanno dietro a Sant’Agata per tre giorni. Ma non ditemi che c’è la fede cristiana.
La fede è un’altra cosa.
La religiosità dice a Dio: “Che cosa puoi fare tu per me?
La fede chiede a Dio: Che cosa posso fare io per te?
L’uomo religioso dice a Dio: “Ecco il mio voto, la mia offerta, la mia candela… tu, in cambio mi devi benedire, mi devi aiutare, devi risolvere i miei problemi, devi cambiare la testa della gente…, devi farmi trovare l’amore, quello giusto, il lavoro, la casa, devi farmi vincere un terno al lotto, devi guarirmi dalla malattia
L’uomo di fede dice a Dio: “A Te, Signore, affido la mia vita… Sono al tuo servizio… Io lo so che tu mi vuoi bene… Se sono al tuo servizio i miei problemi li affido a te…, tu conosci meglio di me le mie necessità…Io voglio che tu mi benedica, che dica bene di me, non ti chiedo di liberarmi dai guai, li voglio affrontare i guai, come ogni donna, come ogni uomo di questo mondo, come ha fatto Cristo, il frutto benedetto del seno di Maria, come ha fatto lei, come ha fatto Agata… Io non ti offro né sacrifici, né olocausti, un corpo mi hai dato… Ecco, per questo io vengo, Signore, a fare la tua volontà
La religione o la religiosità è il tentativo di liberarsi dei guai servendosi di Dio.
La fede è il proposito di affrontare i guai per servire Dio.
La fede è la capacità di affrontare con la forza che viene da Dio, i guai della nostra vita, di dare prova di speranza anche quando le cose non vanno per il verso giusto, di non cessare mai di amare, con l’amore e la carità di Dio giorno per giorno nella nostra vita.

Io non dico di abolire la festa di Sant’Agata. Si perderebbe un patrimonio di credenze, di tradizioni, di folklore, di cultura… tuitte cose che fanno parte di un popolo.
Io vorrei che si distinguesse, da parte della comunità cristiana la religione della fede. Fate pure la festa, le processioni, sparate tutte le bombe che volete, mangiate tutta la carne di cavallo che vi piace, ma distinguete la chiesa e la fede dalla festa.

I preti sulla vara o sul fercolo, a raccogliere soldi e candele, no!
Confonde! La mescolanza delle messe mattutine o vespertine con le bombe, no!
Confonde!
Le autorità che hanno ridotto questa città al lumicino, dietro la vara a sorridere alla gente per farsi applaudire e far dimenticare le loro magagne, no!
Confonde!
Le scommesse sull’ora di rientro della santa, con i relativi risvolti affaristici e mafiosi, insieme alle preghiere in cattedrale, no!
Confonde!

Forse la religiosità potrebbe diventare l’anticamera della fede, ma, perché questo avvenga è necessario distinguere ed educare, pigliare le distanze e sottolineare le differenze, altrimenti regna la confusione; e lo si vede seguendo in diretta le TV locali, dove, conduttori laici e commentatori chierici non sono mai riusciti a evidenziare questa distinzione.
Ma non possono farlo! Perderebbero l’ascolto, perderebbero l’audience.
Preghiamo Dio, e se vogliamo rivolgiamoci pure a Sant’Agata e a tutti i santi, perché l’esempio della loro vita, che è stata certamente cristiana, ci aiuti, insieme a Cristo, ad offrirla a spenderla realmente, concretamente, per la salvezza di quanti incontriamo nel nostro cammino.

Padre Salvatore Resca

[Foto di Pat F

Redazione

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