Sant’Agata, parla il capovara Baturi «Eroe? Ho fatto solo il mio dovere»

«La differenza tra chi guarda la festa in tv e chi la vive è come quella che c’è tra l’astronomo e l’astronauta». Claudio Baturi, maestro del fercolo della festa di sant’Agata, risponde alle polemiche sulla festa sottolinando che «chi guarda da lontano non ha la stessa visione delle cose di chi esplora». Nella settimana del dopo festa il sindaco Raffaele Stancanelli si è impegnato a «costituire un comitato per studiare migliorie alla festa in pochi giorni», dopo le polemiche in diretta tv davanti alla salita di via Sangiuliano e il ferimento alla mano di un tecnico del comune. Mentre un piccolo gruppo di devoti, definiti «delinquenti» dal sindaco insisteva violentemente per fare la salita, il capovara Baturi in maniera inflessibile decideva di non far percorrere la scivolosa salita alla processione. Diventando per molti il simbolo di una festa che può essere diversa.

C’è un mancanza «di regole adatte e moderne in un caos che è causa anche di infiltrazioni mafiose», come sostiene Renato Camarda, promotore del comitato per la legalità nella festa di Sant’Agata, o «i disordini sono colpa di poche persone, non una conseguenza della festa», come ha sostenuto il sindaco Stancanelli? La risposta di Baturi a chi guarda le cose dall’esterno è essenzialmente una: basta fare il proprio dovere.

Cosa ha provato in quei momenti in via Sangiuliano? Paura, rabbia, sconforto?


«Nessuna di queste emozioni, è stata una decisione serena, perché molta è stata la collaborazione da parte delle forze dell’ordine. E poi era la decisione giusta anche se è stata presa nell’immediato, ai quattro canti, quando sono sceso dal fercolo e insieme a monsignor  Barbaro Scionti e alla questura abbiamo preso la decisione di non fare la salita. Una decisione apprezzata dal 99 per cento dei devoti, tranne una piccola frangia. Sapevo che ci sarebbe stato un rischio di lamentele da contenere, ma il rischio della salita poteva portare a conseguenze molto più gravi».

Come si sente ora, a una settimana dagli eventi? Una settimana nella quale non avete rilasciato dichiarazioni.


«La festa è ormai un evento mediatico, ma noi non siamo uomini da copertina. Per questo abbiamo aspettato una settimana prima di parlare, per far abbassare i toni».

Qualcuno l’ha definita eroe, lo stesso sindaco le ha telefonato per congratularsi, dicendo che qualche anno fa non sarebbe stato possibile prendere una decisione simile…


«Io ho fatto solo il mio dovere, ognuno deve svolgerlo così come il sacerdote, il pompiere, il poliziotto. Mi ha stupito rendermi conto che chi svolge il proprio dovere viene chiamato eroe: la mattina del 6, subito dopo il rientro, mi si è avvicinato un signore chiedendomi di farsi una foto con me. Dopo aver visto quello che era successo in tv, è arrivato da Siracusa per congratularsi. È stata solo una scelta di coraggio».

La festa deve cambiare?


«No: è stata una festa di sant’Agata bellissima, con i tempi perfettamente rispettati. Il 4 siamo rientrati ancora con il buio. Una festa compostissima, con ordine, preghiera, e la collaborazione di tutti i devoti che si sono messi a disposizione. È stata una piccola macchia nera in un grande cordone bianco. Un’ora di festa che qualcuno ha cercato di rovinare, forse per voglia di essere protagonista. Però vorrei precisare che quando il fercolo si è mosso, non si è mosso per quei signori, ma per i devoti che stanchi hanno tirato dall’altro lato, volevano tornare a casa».

Il sindaco, accogliendo la richiesta del comitato per la legalità nella festa di sant’Agata, ha annunciato una commissione per occuparsi del regolamento della festa. Cosa ne pensa?


«Non riesco a immaginare che modalità e che tempi si vogliano definire nel regolamento. Noi, come Chiesa, con il regolamento per il capovara e i collaboratori approvato quest’anno, siamo comunque un passo avanti rispetto a quanto chiede questo comitato. In ogni caso quando verremo chiamati ci siederemo senz’altro al tavolo per discutere».

Questo è il primo anno che esiste il regolamento per il maestro di fercolo, ma qual è il curriculum che ha presentato per diventare capovara?


«Lo sono diventato per la mia esperienza. Sto sul fercolo da venti anni, sono stato il collaboratore più stretto di Alfio Rao fino alle sue dimissioni dovute alla sentenza per la morte di Roberto Calì. Ho 45 anni, e da 26 faccio parte del circolo sant’Agata cattedrale. Da 20 ne sono anche il presidente. Come mestiere faccio il libero professionista, ho una piccola azienda con sette dipendenti, e i miei ritmi sono tutti in funzione della festa. Tanto che nei mesi di gennaio e febbraio quasi non lavoro, mentre ad agosto la situazione è un po’ migliore: devo solo prendere le ferie dopo il 20».

Quando si parla di infiltrazioni mafiose e di mafia che gestisce i tempi della festa, quanto c’è di vero?


«Il problema è che sono pochi che conoscono la festa veramente, molti la vedono solo in tv: i tempi li gestisce il popolo. Hanno scritto che la mafia può comandare i tempi del fercolo, o che io stesso mi sarei fermato in via Caronda sotto casa mia. A parte il fatto che non ho una casa in via Caronda, le soste, tranne alcune estemporanee, sono tutte programmate. Anzi, quest’anno abbiamo anche saltato alcuni scarichi di cera. In via Caronda mi sono fermato per parlare con i portatori dei cerei, che sono tornati indietro. Non esistono comunque tabelle di marcia predefinite».

Però in molti lamentano che una volta la festa finiva in tempi molto più rapidi. La salita di Sangiuliano, ad esempio, si faceva di notte…


«C’era anche molta meno gente una volta, e sono già molti anni che la salita si fa in mattinata. La prima volta è stata nel 1987, che è anche l’anno in cui nacque la tradizione del canto delle suore. Stavano in preghiera, e sentendo i rumori della gente per strada si affacciarono improvvisando un canto. Le persone in via Crociferi prima stavano in preghiera, con le suore, ora invece quella del canto delle suore è diventata un’attrazione e vanno solo a vederle. Le persone hanno confuso la religiosità con quel noto film dove le suore cantano».

Lei conosce molto bene il mondo della festa di sant’Agata, forse anche quello delle candelore, citato da alcuni pentiti sentiti nel processo in corso come gestito da alcuni clan mafiosi.


«Quello delle candelore è un mondo che  non conosco. Naturalmente le so riconoscere, ma non conosco l’organizzazione, come si muovono e si organizzano al proprio interno».

Il commmendatore Maina, sostiene che sant’Agata «è la festa di Catania sud», lasciando intendere, con una battuta su un devoto che prega per non tornare in piazza Lanza, che è normale che ci sia un’alta percentuale di persone poco raccomandabili. Lei cosa ne pensa?


«Per rispondere basta dire che io sono di Canalicchio, al confine nord della città, e credo di rappresentarla a sufficienza. E poi alla festa non c’è solo Catania, ma anche i paesi limitrofi, sant’Agata è la patrona dell’intera arcidiocesi. Quando prima della festa il velo va in processione, attira centinaia di devoti in tutti i paesi, da Biancavilla ad Acicastello. Naturalmente anche passando per Librino o il Villaggio sant’Agata, ma certamente non è la festa di Catania sud: è un patrimonio affettivo di tutti».

 

[Foto di Salvo Puccio]

Leandro Perrotta

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