Sanità, verso un conflitto istituzionale

Si apre oggi per la Sicilia una settimana politica e parlamentare difficile. Con molta probabilità, assisteremo a uno scontro istituzionale dirompente tra Governo e Assemblea regionale siciliana. Pomo della discordia: le nomine nella sanità.

Già la scorsa settimana, in accordo con le previsioni – anche se contro la razionalità economica – il Governo regionale presieduto da Raffaele Lombardo ha avviato la prima infornata di nomine. Nei prossimi giorni dovrebbe procedere al rinnovo dei vertici di tutte le Aziende sanitarie e ospedaliere della Sicilia.

Sul piano della logica politica gli atti che il Governo Lombardo ha già compiuto (le nomine della scorse settimana) e quelli che si accinge a compiere (il resto delle nomine) sono un’assurdità. L’attuale presidente della Regione guida ormai un Governo dimissionario. Lombardo andrà via non per gli enormi danni che ha prodotto per incapacità politica e soprattutto amministrativa, ma per una vicenda giudiziaria che lo ha travolto. Sapendo di dover andare via, da un mese a questa parte e forse più procede a nomine di tutti i generi e di tutte le specie.

Sulle nomine di enti e società non ci dovrebbero essere problemi. L’Ars, benché in ritardo, sta provvedendo ad approvare una legge che introdurrà lo spoil system. Con l’arrivo del nuovo Governo regionale – previsto per il prossimo ottobre – tali nomine decadranno, come avviene già da anni nel resto del Paese (e come avviene già, di fatto, anche nei Comuni siciliani).

Il problema si pone per i direttori generali delle Aziende sanitarie e ospedaliere. Per questi manager della sanità, o presunti tali, si procede con contratti di diritto privato, regolati dal Codice civile. Contratti che il futuro Governo potrà revocare in ogni momento. Allora qual è il problema?

Semplice. Lombardo è stato eletto presidente della Regione nel 2008. Ha ereditato una situazione finanziaria difficile. Che i suoi quattro o cinque Governi ha notevolmente peggiorato, se è vero che, oggi, il deficit strutturale della Regione ‘viaggia’ sui 5 miliardi di euro e forse più, con ‘vuoti’ di ‘cassa’ paurosi che costringono l’amministrazione a spaventosi ritardi nei pagamenti (è probabile che, se le cose non cambieranno, tra un anno circa l’amministrazione regionale verrà travolta dai pignoramenti che aumentano di giorno in giorno).

Ben sapendo qual è la disastrosa situazione finanziaria che sta lasciando, Lombardo, prima di andare via, vuole nominare tutti i direttori generali della sanità pubblica, forte del fatto che il prossimo Governo della Regione non avrà a disposizione le risorse finanziarie per revocare gli incarichi da lui assegnati.

Ogni direttore generale di un’Azienda ospedaliera o sanitaria costa, infatti, 750 mila euro (250 mila euro all’anno per ogni direttore, che con contratto triennale diventano, per l’appunto, 750 mila euro). Conoscendo la drammatica situazione finanziaria della Regione che sta per lasciare al suo successore, Lombardo punta a condizionare la vita del futuro Governo, ben sapendo che non ci saranno le risorse finanziarie per consentire a chi verrà dopo di lui di revocare gli incarichi che il suo esecutivo sta assegnando.

Quello di Lombardo è un atto di prepotenza politica bell’e buono. Ogni Governo che s’insedia, con alle spalle un mandato popolare, ha il diritto-dovere di scegliersi i propri soggetti per governare. E, tra questi, anche i manager della sanità pubblica. Forte della terribile crisi finanziaria della Regione – che l’attuale presidente e la sua giunta hanno contribuito a provocare – Lombardo conta di continuare ad amministrare la sanità siciliana anche quando non sarà più presidente della Regione.

Siamo davanti a un uomo politico che tiene in massimo disprezzo i principi elementari della democrazia. Che farà Sala d’Ercole? L’obiettivo del parlamento siciliano è quello di approvare una legge che proroghi il mandato degli attuali direttori generali delle Aziende sanitarie e ospedaliere fino al 31 dicembre. Così la Sicilia si ritroverà con due atti – distinti e separati – di Governo e Ars che si occupano dello stesso argomento, ma con obiettivi diversi.

Il Governo cercherà, come già accennato, di imporre i vertici amministrativi della sanità siciliana al futuro esecutivo; l’Ars proverà a ‘congelare’ le attuali nomine, che scadono il prossimo 31 agosto, fino a dicembre, per consentire al futuro Governo di nominare i vertici delle Aziende sanitarie e ospedaliere.

Con molta probabilità, questo conflitto istituzionale funirà sui tavoli del Tar Sicilia (Tribuunale amministrativo regionale) e del Cga (Consiglio di giustizia amministrativa), nella nostra Regione organo di appello del Tar.

La questione non sarà semplice. Perché le nomine del Governo, in virtù di un retaggio che ci trasciniamo dietro dagli anni del ‘consociativismo’ tra Dc e Pci, dovranno passare al vaglio della prima commissione legislativa dell’Ars (Affari istituzionali). Il cui parere è obbligatorio ma non vincolante per il Governo.

Qui si pongono altri due problemi. Il primo è di ordine temporale. La prima commissione dell’Ars ha trenta giorni di tempo per esprimere il proprio parere (se non lo esprimerà, le nomine si considereranno approvate grazie al silenzio-assenso). Ma se Lombardo si dimetterà il 31 luglio, la prima commissione non avrebbe a disposizione il tempo ‘tecnico’ per pronunciarsi, dal momento che, in presenza delle dimissioni del presidente della Regione, decade automaticamente l’Ars.

Il problema dovrebbe essere superato dalla norma, che l’Ars si accinge ad approvare, che dovrebbe prorogare fino al 31 dicembre di quest’anno il mandato degli attuali direttori generali della sanità. Una norma contro la quale, di fatto, si opporrà il Governo, effettuando comunque le nomine dei direttori generali per i prossimi tre anni.

Fermi restando gli eventuali quanto probabili pronunciamenti di Tar e Cga, ci permettiamo due considerazioni di ordine politico.

La prima considerazione riguarda la stessa idea di Autonomia siciliana ‘contenuta’ nello Statuto autonomistico della Sicilia: Statuto che, lo ricordiamo, fa parte della Costituzione italiana.

Tra il 1946 e il 1947, i padri della Costituzione del nostro Paese si premurarono di dare ‘centralità’ al Parlamento, memori del fatto che il regime fascista aveva umiliato le istituzioni democratiche a parlamentari.

La stessa ‘centralità’ del Parlamento la riscontriamo anche in Sicilia. I ‘Padri’ dell’Autonomia, non a caso, pensarono a un Governo che nasceva a Sala d’Ercole, eletto cioè dal Parlamento siciliano.

La legge che regola l’elezione del presidente della Regione siciliana, è noto, è stata cambiata nel 2001, con l’introduzione dell’elezione diretta del capo della giunta. I risultati sono stati deludenti. Non è migliorata la situazione politica della Sicilia e non è migliorata la situazione economica (che anzi è peggiorata). Adesso ci accingiamo ad assistere ad uno scontro istituzionale (dovuto anche al fatto che, nel 2001, il Legislatore non ha previsto gli opportuni ‘contrappesi’ ai poteri eccessivi che l’elezione diretta assicura all’esecutivo).

Noi non siamo giuristi. Ma siamo certi che i giudici amministrativi – che di Diritto e di Autonomia siciliana ne ‘masticano’ molto più di noi – non dimenticheranno l’importanza della ‘centralità’ del Parlamento siciliano.

Detto questo, c’è una seconda considerazione politica che vorremmo sottolineare. Lombardo non sta uscendo dalla scena politica siciliana perché dal pollaio del suo vicino di casa sono spariti polli e galline. Sul capo dell’attuale presidente della Regione siciliana pende un’inchiesta per mafia. Davanti a ipotesi di reato così gravi, sarebbe bene liberare le istituzioni dalle possibili ombre.

Al contrario, ancor prima che la magistratura si sia espressa su di lui, Lombardo vorrebbe comunque condizionare la vita politica futura della nostra Isola, nominando i vertici amministrativi della sanità pubblica siciliana. Con molta probabilità, l’attuale presidente della Regione non si rende conto – e, quel che di più grave, non se ne rendono conto nemmeno le persone che gli stanno accanto, compresi gli assessori della sua giunta – che un processo penale si può concludere anche con una condanna. Se ciò dovesse avvenire – e noi non ce lo auguriamo – la Sicilia si ritroverebbe con i vertici della sanità pubblica nominati da un ex presidente della Regione condannato per mafia.

In un Paese ‘normale’, già da sola, questa ipotesi sconsiglierebbe un uomo politico impegnato nelle istituzioni dall’adottare qualunque atto amministrativo. Ma siamo in Sicilia, anzi in Italia, dove il messaggio devastante di Berlusconi ha fatto scuola. Dove la magistratura conduce indagini ‘politiche’: dove ad essere ‘perseguitati’ sono gli stessi politici (come i ‘poveri’ ex ministri della Repubblica coinvolti nella trattativa – o nelle trattative – tra Stato e mafia): dove la Giustizia persegue fini lontani dalla verità: dove i giudici “non si attengono alla legge” e via continuando con simili amenità.

Ma i magistrati che lavorano alle inchieste di mafia non lo fanno per liberare le democrazia da pericolosi delinquenti che minano alla base la vita stessa delle democrazie? Ma quando mai: lo fanno per fini politici. Anzi si divertono a rischiare la vita per fare il proprio mestiere…

In un Paese come il nostro è anche ‘normale’ che un presidente della Regione che sta per lasciare il proprio incarico perché sotto inchiesta per mafia, invece di occuparsi del proprio processo, si occupi e si preoccupi di nominare i vertici della sanità dei prossimi anni.

Così vanno le cose in Italia. E così vanno le cose in Sicilia.

Dove andrà a finire la Sicilia amministrata da simili personaggi non è difficile immaginarlo. Ma questo, si sa, è solo un ‘dettaglio’.

 

Giulio Ambrosetti

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