Si scrive Presidi territoriali di emergenza, ma in alcuni territori si legge pronto soccorso. Dove manca un ospedale, negli ultimi anni, i Pte hanno rappresentato in Sicilia l’avanguardia del sistema sanitario regionale. «Abbiamo salvato tante vite umane grazie alla presenza dei medici per le urgenze», spiegano diversi sindaci che adesso sono preoccupati. Nella nuova rete sanitaria – redatta dal governo Musumeci, approvata dal ministero lo scorso gennaio e pubblicata l’8 febbraio sulla Gazzetta ufficiale – una parte è dedicata alla riorganizzazione dei Punti di primo intervento, che nell’Isola prendono il nome di Pte. Si prevede la chiusura di otto centri entro dicembre del 2019 e altri 15 entro il 30 giugno 2020. Uno, quello di Scoglitti, popolosa frazione marinara di Vittoria, nel Ragusano, è già inattivo dal primo febbraio. Ma in diversi territori, cittadini e ammnistratori locali non ci stanno e annunciano battaglia.
In totale in Sicilia sono 39 i Pte, ma solo quattro rispettano il requisito richiesto dal ministero della Salute per la loro esistenza, cioè più di seimila accessi annuali. L’assessorato regionale ha monitorato queste strutture a partire dal 2013 e, nella relazione inviata a Roma nel luglio del 2018, ha certificato che i Pte di Cammarata (Ag), Carini (Pa), Bagheria (Pa) e Pachino (Sr) sono gli unici a rispettare il criterio dei seimila accessi. Quindi non rischiano nulla.
Per valutare la chiusura degli altri sono stati tenuti in considerazione altri parametri: avere il pronto soccorso più vicino oltre i 20 minuti; trovarsi in aree con particolari difficoltà viarie di accesso o in un’isola minore; emergenze specifiche come la presenza di un centro d’accoglienza per migranti o essere in una località turistica. Sulla base di questi riscontri sono stati definiti ad alto impatto (cioè possiedono almeno due indicatori di criticità) dieci Pte, che non chiuderanno: si tratta di Mineo, Linguaglossa, Francavilla di Sicilia, Novara di Sicilia, San Piero Patti, Salina, Tortorici, Palazzo Adriano, Lercara Friddi e Pozzallo.
Poi cominciano i problemi e le paure. Gli altri Pte sono stati divisi tra quelli a basso impatto che devono chiudere entro quest’anno, e quelli a medio impatto per cui l’assessorato ha chiesto una deroga ma per cui è prevista al momento la chiusura entro giugno 2020. Nella prima categoria rientrano San Cataldo (Cl), Scaletta Zanclea (Me), Messina Sud, Messina Nord, Torregrotta (Me), Falcone (Me), Chiaramonte Gulfi (Rg), e Vittoria Scoglitti (Rg). Nella seconda categoria troviamo Menfi (Ag), Milena (Cl), Sommatino (Cl), Randazzo (Ct), Grammichele (Ct), Ramacca (Ct), Santa Teresa di Riva (Me), Brolo (Me), Capo d’Orlando (Me), Santo Stefano di Camastra (Me), Palazzolo Acreide (Sr), Rosolini (Sr), Favignana (Tp), San Vito Lo Capo (Tp) e Salemi (Tp). Dove si chiude un Pte è prevista la collocazione di un’ambulanza con medico a bordo.
Il primo a chiudere è stato Scoglitti, dove è stato costituito un comitato per chiederne la riapertura. «Siamo stati trattati peggio dei maiali – attacca Ciccio Aiello, politico di lungo corso che adesso è tra i portavoce della battaglia – hanno chiuso il Pte dalla mattina alla sera, senza che nessuno ne sapesse nulla. Nemmeno i commissari (che fanno le veci del sindaco visto che Vittoria è commissariata ndr) che sono i responsabili sanitari sul territorio. Questa chiusura – continua – è frutto di una logica ragionieristica disarmante, su questo Pte gravitano moltissimi lavoratori delle serre e d’estate non può certo bastare la guardia medica. Così si sovraccarica anche il pronto soccorso di Vittoria che non è al momento preparato».
Nel documento ufficiale, poi, sembrano esserci evidenti errori. È quanto denuncia, per esempio, il sindaco di Chiaramonte Gulfi, piccolo paese degli Iblei, dove, almeno stando a quanto pubblicato in Gazzetta ufficiale, il Pte deve chiudere. «Due mesi fa – spiega il primo cittadino Sebastiano Gurrieri – ho scritto alla Regione, allegando i dati ufficiali degli accessi negli ultimi quattro anni – nel 2015 sono stati 6311, nel 2016 6242, nel 2017 6311 e nel 2018 6487 – tutti sopra i seimila. Mi avevano dato rassicurazioni, ma adesso serve una rettifica rispetto a quanto pubblicato in Gazzetta. Per noi il Pte è stata una vittoria arrivata a inizio anni Duemila dopo una lotta. Qui arrivano utenti da Licodia e da Comiso e – conclude – abbiamo salvato centinaia di vite».
Difficile spiegare anche come sia finita Favignana nell’elenco dei Pte da chiudere entro giugno 2020, a cui è stato riconosciuta la peculiarità di essere un’isola, ma non quella di distare più di 20 mnuti da Trapani o ancora di essere località turistica. «Per noi – sottolinea il sindaco Giuseppe Pagoto – è un vero e proprio pronto soccorso, ad agosto abbiamo 70mila persone al giorno, sarebbe una follia chiuderlo». O ancora San Vito Lo Capo, probabilmente la più nota meta turistica della Sicilia occidentale, eppure secondo l’assessorato meritevole di una sola criticità aggiuntiva, distare più di 20 minuti dall’ospedale di Trapani. «D’estate per arrivarci ci vuole un’ora – precisa il primo cittadino Giuseppe Peraino – e non può certo bastare un’ambulanza medicalizzata perché, quando è impegnata, lascerebbe il territorio scoperto e noi abbiamo 25-30mila presenze al giorno. Non transigeremo sul diritto alla salute».
Dall’Asp di Trapani, il direttore sanitario Salvatore Requirez fa sapere che «c’è grande rispetto per il lavoro della Regione, ma allo stesso tempo nei prossimi mesi non faremo mancare i nostri suggerimenti e le nostre richieste migliorative rispetto allo schema da attuare sul territorio». Preoccupazioni comuni a quasi tutti i territori interessati dalla riorganizzazione dei Pte.
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