«A me, ad oggi, non risulta che ci siano consiglieri mafiosi a San Cipirello». C’è molta sicurezza nelle parole del presidente del consiglio comunale del paesino monrealese Giovanni Randazzo, appena sciolto dal ministero dell’Interno per presunte infiltrazioni mafiose, che non ha preso benissimo la notizia. «Siamo fiduciosi fino alla fine rispetto al lavoro fatto dalla commissione ispettiva, ma faremo comunque ricorso al Tar», annuncia infatti. Eppure, l’arrivo a novembre scorso degli ispettori era stato accolto, a suo dire, con ottimismo e serenità dai funzionari. In pochi, forse, immaginavano l’esito di oggi. In consiglio, almeno. L’atteggiamento era stato, piuttosto, di apertura e di collaborazione: «Quando si è insediata la commissione ispettiva abbiamo fatto richiesta sia alla commissione stessa che al prefetto per essere sentiti, ma non è mai successo fino ad oggi».
Insomma: l’amministrazione locale aveva offerto il proprio aiuto ai funzionari statali. Segnalando, magari, certi episodi che forse meriterebbero, a giudizio almeno del presidente del consiglio comunale, una certa attenzione. «Abbiamo fatto molte richieste, anche scritte, perché qualcuno ci ascoltasse, rivolgendoci anche alla caserma dei carabinieri, per dire tutto quello che avevamo trovato – racconta Randazzo -. Ad esempio, il primo atto fatto dal sindaco Vincenzo Geluso, quando si è insediato, è stato quello per demolire l’edificio di un mafioso, cosa che abbiamo già trovato là ma che il sindaco precedente non aveva mai firmato lasciandolo nel cassetto». E tira in ballo, in questo modo, l’ex primo cittadino, in carica per due mandati, Antonino Giammalva, che in realtà era balzato alle cronache per aver palesato un atteggiamento opposto rispetto a quello alluso da Randazzo. Nel 2017, infatti, sul finire del suo mandato, non aveva avuto timore di dire anche pubblicamente che «la mafia a San Cipirello c’è, controlla il territorio e uccide i ragazzi con la droga».
Oggi la notizia delle presunte infiltrazioni mafiose e lo scioglimento del consiglio comunale. Una notizia che, visto quanto osservato in più occasioni, non dovrebbe averlo colto troppo di sorpresa quindi. Senza contare che, sempre due anni fa, non si era tirato indietro nemmeno per fare nomi e cognomi dei mafiosi, o presunti tali, del paese. Beccandosi per questo una querela per diffamazione da parte della moglie di uno degli uomini di cui aveva fatto il nome, attualmente in carcere per 416 bis. «Abbiamo fatto diverse querele a ex amministratori e io personalmente ne ho fatta una alla segretaria comunale, perché ha omesso di mandare alcune carte, quando io gliel’ho chiesto in consiglio comunale, alla corte dei conti. Noi non ci arrendiamo, abbiamo la coscienza a posto, andremo fino in fondo – promette intanto Randazzo -. Siamo arrabbiati e non ci fermeremo, andremo avanti nella speranza che esista la giustizia in Italia. Fino ad oggi ci credo ancora, domani non lo so».
Mentre il sindaco Geluso affida ai social un pensiero: «Non scapperemo dal nostro paese, non sarò il regista occulto come ha fatto qualcuno in due anni dietro una scrivania a scrivere – scrive, alludendo forse anche lui all’amministrazione precedente -, rimarrò nel mio paese, continuerò ad incontrare ogni mattina al bar tanti concittadini solo anche per un caffè. Non sarò come chi si presenta in campagna elettorale e per cui poi il paese non esiste più, continuerò a fare la vita che ho sempre fatto sempre in mezzo alla gente. Voglio ringraziare tutte le persone che hanno creduto in noi, tanti amici, tanti cittadini, la maggior parte dei dipendenti comunali che hanno lavorato sempre con serietà. Ovviamente – conclude poi – non siamo abituati a mollare, quindi noi faremo tutto quello che la legge ci consentirà».
«Attendiamo ovviamente l’esito di questa indagine. Come senatrice avevo già avuto un colloquio, seppure telefonicamente, con la prefetta di Palermo, per capire cosa li abbia portati a questa scelta. Di certo monitorerò e vigilerò la situazione, è doveroso da parte mia», osserva anche la senatrice 5 stelle Cinzia Leone, che è proprio di San Cipirello. «Adesso il mio paese inizierà una sorta di pulizia da tutta questa sporcizia da cui è stato circondato in questi anni – dice ancora -. San Cipirello da ora deve iniziare un percorso etico, di legalità e di pulizia, di scardinamento di questa struttura mafiosa che serpeggia nell’entroterra siciliano».
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