Entro lunedì i pazienti con disabilità mentale ospiti da più di 72 mesi delle Comunità terapeutiche assistite devono essere dimessi e il Comune deve farsene carico. Pena la configurazione di danno erariale nei confronti della Regione. L’ordine, ultima tappa di un tortuoso e monco percorso di riorganizzazione del settore di salute mentale, è stato inviato mercoledì dall’Asp alle Cta e a palazzo degli Elefanti. Una potenziale bomba sociale considerando i numeri del capoluogo etneo, dove ci sono 171 persone che lunedì rischierebbero di essere messe alla porta dalle comunità in cui hanno fino ad ora vissuto. In molti casi senza un luogo alternativo dove andare, né un percorso di riabilitazione da seguire.
L’Assessorato regionale alla Salute ha individuato nei Comuni gli enti competenti per continuare ad assistere i pazienti attraverso servizi più leggeri (con un tetto massimo di pazienti inferiori e una presenza ridotta di figure professionali), come le comunità alloggio, i gruppi appartamento, le strutture protette o l’assistenza in famiglia. Tuttavia, il fondo unico che avrebbe dovuto garantire la copertura finanziaria, inserito nell’articolo 19 della finanziaria regionale è stato impugnato dal commissario dello stato, come gran parte della legge di stabilità, e non più riproposto nella manovra bis. Un bel grattacapo per gli enti locali. Anche nel caso in cui questi pazienti dovessero restare nelle Cta, sarebbero comunque i comuni a dover farsene carico. Per Catania si tratterebbe di una spesa di 11 milioni di euro, secondo i calcoli dell’assessore alle Politiche sociali Fiorentino Trojano, che ieri ha incontro Lucia Borsellino e Giuseppe Bruno, neo assessore alla Famiglia. «Al di là della mancanza dei fondi regionali, che complica la situazione, resta il fatto che non avremmo comunque strutture sufficienti per ospitare queste persone. Stiamo discutendo e troveremo una soluzione, ma l’ultimatum dell’Asp non può essere rispettato», spiega Trojano.
La decisione dell’assessorato alla Salute rientra nel piano di riorganizzazione della sanità in Sicilia e arriva dopo una serie di direttive, regolamenti e protocolli d’intesa propedeutici all’approvazione del famoso articolo 19. Uno strumento che avrebbe dovuto colmare un gap storico per la Regione, regolamentando l’integrazione socio sanitaria – cioè i servizi per quei pazienti che non sono più o ancora di competenza sanitaria ma hanno comunque bisogno di assistenza – e istituendo un fondo unico apposito. «Senza questo articolo la riorganizzazione è rimasta incompleta e la direttiva dell’assessorato che prevede la dismissioni dalle Cta dei pazienti con più di 72 mesi di permanenza è diventata una bomba», denuncia Francesco Lirosi, presidente del Coordinamento regionale salute mentale che raggruppa 40 tra associazioni, case famiglia e cooperative sociali. «E’ come se uno si rompe una gamba, gliela ingessano ma gli viene negato il periodo di riabilitazione», continua. Da qui la provocazione: «A questo punto meglio riaprire i manicomi», scrive il Co. Re. Sa. M. in una nota. «E’ ovvio che siamo contrari ai manicomi, ma ci troviamo davanti un muro di gomma alla Regione, con chi dobbiamo interloquire?», si chiede Lirosi.
Su un totale regionale di 50 comunità terapeutiche assistite, la provincia di Catania ne conta 17. Di queste solo una, a Caltagirone, è totalmente pubblica. Le altre sedici sono private e convenzionate con l’Asp. Un’anomalia che nasce dal fatto che nel Catanese non c’erano manicomi e queste strutture sono nate prima rispetto al resto della Sicilia. Inoltre, le comunità nella provincia etnea possono ospitare fino a 40 pazienti, mentre altrove il tetto massimo è di 20. «Il limite di permanenza c’è sempre stato – spiega Lirosi – prima era di 30 mesi, poi è stato portato a 54, adesso a 70, ma non è stato mai rispettato. Adesso però l’assessore Borsellino ha introdotto il principio di danno erariale se si continuerà nell’abuso e questo cambia le cose. E sarebbe un bene, perché al momento il sistema è bloccato e molte persone attendono di entrare in una Cta».
Dalle 17 comunità della provincia di Catania lunedì dovrebbero essere dimesse 400 persone. «Ma nessuno verrà buttato fuori», rassicura Trojano dopo l’incontro di ieri a Palermo. «Le strutture sociosanitarie del comune che dovrebbero prendersi cura dei pazienti sono insufficienti, non c’è concretamente dove mettere queste persone. E’ un problema serio che non può essere risolto con degli ultimatum. Teoricamente andrebbe fatto un bando ad hoc, o andrebbero ricollocati dove c’è posto: a Trapani, o Reggio Calabria. Una deportazione per persone che in alcuni casi vivono da trent’anni nella stessa struttura. Ma – conclude l’assessore – stiamo lavorando per trovare un accordo che vada verso un’altra direzione».
[Foto di Cesvot]
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