Salario d’ingresso per i giovani siciliani

di Francesco Busalacchi

 Bisogna lottare con tutte le proprie forze contro la morte del giorno, dice il poeta. Missione suggestiva, direte, ma impossibile. Concentriamoci perciò su quello che possiamo e dunque dobbiamo fare.

Lo stralunato accrocco di politicanti che ha ballato, saltato, cantato ad ogni schiocco di frusta del grande domatore, quell’accrocco che, negli ultimi cinque anni, un giorno si è frantumato e l’altro si è intrecciato, che ha passato e ripassato il fosso, che è entrato all’Assemblea regionale da duro oppositore e che si è scoperto morbida maggioranza o viceversa, ebbene, adesso che il grande imbonitore è uscito di scena tenta di rifarsi una verginità, contando sulla poca memoria dei siciliani e (si illudono) sulla loro poca intelligenza. E’ una coazione a ripetere. C’è chi si pente, ma con prudenza, pronto a ripentirsi, c’è chi cerca un presidente, chi offre presidenti, chi è già presidente, chi cerca alleati,  “… ma deve essere chiaro che …”, chi si offre come alleato, “ …. però a condizione che …”.

Nessuno, se non di passata, pensa alla Sicilia che brucia (in tutti i sensi), a nessuno viene in mente di costruire un progetto, di proporre un percorso, di indicare priorità e poi cercarsi i compagni di strada. No, prima cercano di vincere le elezioni e poi si vedrà. Tanto, come al solito, ci penserà Mamma Roma.

Eh no! Non funzionerà così, e poi, mi chiedo, è mai possibile che i siciliani debbano vivere di elemosina solo perché la loro classe politica non sa fare altro che elemosinare? Mi rifiuto di crederlo. Basta pensare a tutte le intelligenze che operano qui e altrove, fuori dalla Sicilia, che si sono costruite il proprio futuro nonostante le miserie morali a cui i loro governanti li hanno costretti.

Ricordiamoci che in democrazia, in ogni democrazia, anche in quelle claudicanti, non esistono cattivi governanti, esistono cattivi elettori. E con tutta onestà dobbiamo riconoscere che noi siciliani, se finora ci siamo ritrovati questi governanti è perché proprio ce li siamo cercati. Oggi ci sono tutte le condizioni per mandarli definitivamente a casa. Non sarà affatto una perdita, lo dico a quelli che temono di perdere quel nulla che hanno ricevuto. Non vi affascina l’idea che, grazie a voi, elettori consapevoli, tanti tromboni abbuttati vengono ricacciati nella loro reale, squallida dimensione?

Tra poco, se non già hanno cominciato, quando avranno le idee chiare e si saranno assestati al loro miserabile livello di compattezza possibile, verranno a chiederci i voti. Useranno tutti i sistemi, anche quelli meno ortodossi. I Siciliani devono sapere che non si tratta di politica, né di destra né di sinistra, né di centro, né di ideali, né di valori. Questi politicanti d’accatto non sanno di che si tratta, e la prova è che hanno girato tutti i sepolcri. Sappiano i siciliani che questi personaggi lottano soltanto per garantirsi uno stipendio (stipendio!) di 15.000 euro netti al mese per 5 anni (che incasseranno anche restando per tutto il tempo a casa!) mentre chi ci cascherà sarà accontentato con la santina di San Giuseppe della vecchia barzelletta della suorina e della escort.

E questo vale per tutti, singoli, categorie, associazioni, ordini, tutti sempre anelanti. Quando si parla di sacrifici i politici somigliano a quel padre che consegna a suo figlio 10 euro e gli chiede di fare la spesa: due litri di vino, un kilo di pasta, la salsa, il pane, la frutta. Quando il figlio gli fa osservare che i soldi non bastano, il padre riduce la lista, salvando sempre i due litri di vino. Il loro non va toccato. Il loro? E chi glielo ha lasciato?

Quindi, prima il programma, poi le alleanze e infine i soggetti attuatori. Qual è il cuore di un programma serio e concreto? Un’equazione: meno risorse alla politica (in tutti i sensi) e loro utilizzo per affrontare le criticità più acute. In primo luogo, i giovani. Sono tutti nostri figli. La loro realizzazione umana e sociale deve essere la nostra missione. Essi sono il futuro, incarnano la speranza. Personalmente, sono convinto che se alcuni dei nostri ragazzi rapinano i turisti che sbarcano dalla navi di crociera non lo fanno per il piacere di farlo. Ma quando la dignità è calpestata, la speranza negata, dobbiamo aspettarcelo. Dobbiamo accompagnarli nel loro percorso educativo, formativo, lavorativo, utilizzando i milioni di euro che saranno sottratti alla politica.

Avremo giovani migliori e migliori politici, e questo perché più basse saranno le loro indennità (indennità, non stipendi!), maggiore sarà la certezza che lo fanno per una missione e non per lucro e neppure per abusare di privilegi ingiustificati, costosi e superflui. Dobbiamo altresì garantire in tutti i modi possibili i giovani occupati in questa oscura fase di lavori a progetti: sappiamo tutti che questi strumenti dissimulano un rapporto di lavoro che è schiavitù; che è il paradiso di tutti i finti imprenditori con la libidine del licenziamento a vista, e che formano una schiera di lavoratori supini e che si abitueranno a subire ogni tipo di ingiustizia pur di guadagnare qualcosa per vivere.

Che cosa sarebbe invece la nostra società se tutti i sogni, tutte le aspettative, tutti i progetti di vita dei giovani diventassero realtà? Dobbiamo lavorare per costruire non a un libro dei sogni, che si regga su false entrate, su mirabolanti giroconti, su ipotetici contributi esterni, ma su un progetto che si bilanci al suo interno, che abbia una sua consequenzialità, che tolga dove è doveroso togliere e dia dove è sacrosanto dare; che abbia i requisiti della bancabilità, si può dire.

Con riguardo agli interventi per i giovani e al togliere e al dare, facciamo una simulazione e una proposta. Riduciamo ad un terzo i costi del deputati regionali; eliminiamo tutte le Province; accorpiamo i Comuni con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti; riduciamo a 15 i dipartimenti regionali, riduciamo ad un terzo gli uffici regionali. Il risparmio in cinque anni sarebbe di circa 250 milioni di euro (quasi 500 miliardi di vecchie lire!).

Bene. I giovani dai 15 ai 29 anni in Sicilia sono circa 950.000. Se assegniamo a quanti si inseriscono in attività lavorative e/formative un salario di ingresso, ridaremo lavoro e dignità e ci resterà, per esempio, di che diminuire in modo significativo le addizionali regionali alle imposte.

Questa deve essere la missione, da sottoporre alla valutazione e al giudizio alla società civile, innanzitutto, alle categorie produttive e alle forze sindacali, pronti a ragionare su proposte, idee e contributi. Gli indecisi debbono essere aiutati con buoni argomenti. Di tanti immaginiamo già la risposta: noi non facciamo politica.

Non fare politica può essere una trappola. Chi non fa politica non è libero. Per pregiudizi personali, per condizionamenti, per riconoscenza, per una aspettativa personale, per salvarsi il posto, perché si sovrappone un interesse spicciolo e di parte ad un interesse generale il cui ritorno, se è più lontano nel tempo, è più gratificante dell’ormai improbabile hic et nunc.

Non basta dunque il punto in cui siamo arrivati per questa nostra egoistica inadeguatezza? Dobbiamo ancora una volta essere governati da chi non è migliore di noi?

Nel documento della CEI sul Mezzogiorno si legge: “Lo sviluppo di un popolo si realizza non in forza delle sole risorse materiali di cui si dispone in misura più o meno larga, ma soprattutto grazie alla responsabilità del pensare insieme e gli uni per gli altri”

Al lavoro, dunque!

Foto di prima pagina tratta da prestiti.blogosfere.it

Fotoin alto a sinistra tratta da apqgiovanialtovalleplatani.it

 

Redazione

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