S.G. Li Cuti, la morte di Frank raccontata dai pescatori «Non sapeva nuotare, Daniel si è tuffato per salvarlo»

«Faceva su e giù in continuazioneDaniel l’ha visto e si è buttato per salvarlo, mentre tutti erano a cena e guardavano, o filmavano col cellulare. Una cosa schifosa». Inizia così il racconto di un pescatore di San Giovanni Li Cuti, parente dell’uomo che ha provato a salvare dall’annegamento Frank, il 19enne nigeriano morto ieri sera nel porticciolo del borgo marinaro. Il ragazzo, ospite dello sprar di via Regina Bianca nel quartiere di Picanello, era sceso a piedi dalla comunità insieme ad alcuni compagni per fare il bagno. Ma la vittima, secondo le testimonianze, non sapeva nuotare. «L’hanno tirato su ma gli usciva sangue dalla bocca e dalle orecchie – continua l’anziano marinaio –  non so se ha sbattuto la testa».

Daniel, questo il nome del proprietario del peschereccio che stava rientrando in porto, ha visto che il giovane non riusciva a risalire dall’acqua e si è immediatamente tuffato. A buttarsi, secondo il racconto, anche un poliziotto. «Le ambulanze sono arrivate tardi, una signora ha provato a rianimarlo per circa 40 minuti- spiega una residente del luogo – almeno dopo mezz’ora, ma il ragazzo era già morto». 

I cittadini occupano le corsie preferenziali per le ambulanze

«Noi abbiamo fatto tutto quello che c’era da fare, l’ambulanza medicalizzata ha eseguito le manovre del caso, purtroppo senza successo». A spiegare a MeridioNews il lavoro dei soccorritori è Isabella Bartoli, responsabile del 118 catanese. «Noi abbiamo fatto di tutto per arrivare al più presto, vorrei però sottolineare l’atteggiamento assurdo dei cittadini che occupano le corsie preferenziali con le macchine, provocando spesso ritardi». Sul posto sono arrivate due autoambulanze, una delle quali medicalizzata. «Se qualcuno parla di problemi, vorrei spiegare che non sempre si può procedere con il defibrillatore. Se non si arriva nei primi cinque minuti dall’annegamento quel tipo di apparecchiatura non serve a nulla».

Ed è così che una volta deceduto, il corpo di Frank è stato portato nella chiesa di Santa Maria della Guardia, in attesa delle prime perizie medico-legali. «Sono arrivati intorno alle 22 i responsabili dello sprar dove viveva e ci hanno chiesto di accudire la salma – raccontano dall’ufficio della parrocchia -. L’unica cosa che ci ha raccontato un amico del ragazzo, è che loro lo avevano avvertito che l’acqua era alta in quel punto». I compagni di Frank vivono tutti nella comunità gestita dal consorzio Il Nodo. Alcuni di loro lavorano, altri invece studiano. Come la vittima, che frequentava il corso di italiano all’interno dei percorsi didattici del Cpia Ct1 di via Velletri

I ragazzi si autogestiscono nella comunità di via Regina Bianca

«Conoscevo bene il ragazzo, era un nostro corsista – racconta Riccardo Di Salvo, uno dei docenti della scuola – viveva in questa comunità dove però molte volte i ragazzi si sono lamentati per le condizioni igieniche e per il degrado». A dicembre, alcuni studenti, si sarebbero presentati a scuola con le infradito da mare, «noi gli abbiamo regalato le scarpe e dallo sprar si sono lamentati. I responsabili se ne fregano, non c’è nessun controllo di notte e di giorno». 

«I ragazzi della nostra comunità hanno tutto quello che viene fornito e stabilito dallo sprar centrale – replicano a MeridioNews dal consorzio Il Nodo -. Sono ben vestiti, lavati e vivono in appartamenti secondo un sistema innovativo. Noi mettiamo a disposizione una casa per massimo sei persone». «Ovviamente – spiega l’ufficio stampa – come in tutti gli sprar, gli ospiti sono liberi di entrare e uscire quando vogliono, soprattutto perché sono maggiorenni». Non è chiaro dove verrà celebrato il funerale di Frank ma come spiegano dal consorzio la famiglia, che si trova in Nigeria, è già stata contattata: «Decideranno loro come gestire le esequie. Se si faranno a Catania, i costi saranno a carico nostro». 

Mattia S. Gangi

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