S. Agata, le idee del comitato per la legalità «Servono regole moderate, ma certe»

«Non si può pensare che Catania diventi come la Svizzera con la bacchetta magica. Dividere la parte commerciale della festa di Sant’Agata da quella religiosa sarebbe già un buon risultato per una città più civile». Come ogni anno, quando le festività agatine si avvicinano, il comitato per la legalità nella festa torna a farsi sentire. E quest’anno, come spiegano le parole di Maria Teresa Ciancio, della fondazione Giuseppe Fava – aderente al comitato – lo fa in modo cauto, ma con una lista di proposte mai avanzate prima. Pochi punti, troppo poco rigidi secondo alcuni, ma realistici nell’idea dei promotori. Illustrati oggi a qualche giorno dalla presentazione ufficiale, giovedì 7 in Arcivescovato, dell’edizione 2014 della festa.

«Il sindaco Enzo Bianco lo scorso maggio, prima delle elezioni, si è impegnato pubblicamente con il coordinamento catanese di Libera a varare un Regolamento comunale per la festa di Sant’Agata – spiega Renato Camarda, tra i fondatori del comitato – La chiesa dallo scorso anno lo ha già». Nell’attesa di conoscere gli sviluppi della promessa del primo cittadino etneo, il comitato per la legalità avanza la sua prima proposta: «Organizzare un tavolo di concertazione tra i responsabili del fercolo e delle candelore, le associazioni agatine, le forze dell’ordine e il nostro comitato». Senza dimenticare ovviamente «il Comune e la chiesa, perché la loro mancanza di comunicazione è una delle cause del ritardo con si affrontano i problemi relativi alla festa», continua Camarda.

Problemi che si ripetono ogni anno, ma che basterebbe poco per contenere, se non risolvere, sostengono dal comitato. Un piccolo passo avanti si è già avuto alla scorsa edizione. «Siamo rimasti piacevolmente sorpresi dall’ultima festa, finita con ore di anticipo e con le autorità che hanno accettato la nostra proposta di rendere piazza Cavour un’isola di legalità, chiusa agli ambulanti abusivi e ai torcioni accesi senza regole – commenta Camarda – Bastava andare pochi metri più giù, in via Etnea, per vedere ricominciare la solita bolgia che macchia la festa, il vestito bello che Catania si mette davanti al mondo». Così l’idea pratica da lanciare quest’anno è quella di estendere la limitazione e il presidio delle forze dell’ordine alle intere via Etnea e via Caronda.

«Le strade vanno transennate. I torcioni potrebbero stare sui marciapiedi, e non davanti al fercolo a rallentarlo, e i venditori nelle vie lateriali». Senza andare troppo per il sottile in termine di licenze. «Il suolo pubblico potrebbe essere concesso a prezzo stracciato o anche gratis – continua Camarda – Sappiamo quanto l’aspetto commerciale della festa sia utile in tempi di crisi, ma va controllato». Con il dialogo, aperto anche agli abusivi, e non con un duro contrasto delle forze dell’ordine «che provocherebbe solo tensioni». «Molti ci dicono che la parola legalità è quasi antipatica. Noi vogliamo far capire che la legalità conviene a tutti», gli fa eco Marco Gurrieri, volontario di Manitese e del centro di servizio per il volontariato etneo.

Un messaggio da trasmettere anche ai più piccoli, a cui è dedicata una proposta a sé: «Nelle scuole, l’opera di preparazione alla festa è fondamentale – spiegano dal comitato – Vanno spiegati sia il lato festoso che quello sociale e di ordine pubblico. Perché i ragazzi sui banchi sono gli stessi che poi partecipano alla festività». Educazione che riguarda anche i più grandi e soprattutto chi occupa ruoli di responsabilità all’interno dell’amministrazione etnea. «Serve più trasparenza – spiega Camarda – Ogni anno il Comune deve pubblicare quanto spende per la festa, tra luminarie, fuochi, rimozione della cera, e quanto guadagna per esempio con l’affitto del suolo pubblico». Un modo per valutare l’opportunità di certe spesi o alcuni bandi, ma anche per effettuare una stima «magari con l’aiuto della Camera di Commercio, dell’impatto positivo o negativo della festa sulla città».

Capitolo a parte meritano le eventuali infiltrazioni mafiose nelle festività agatine. «Se c’è illegalità diffusa, è ovvio anche che c’è la criminalità organizzata che la gestisce», commenta Camarda. Che ricorda il caso della lite tra portatori di candelora dello scorso anno alla pescheria etnea, «quando un testimone parlò di una scommessa da diecimila euro, poi negata». Ma anche i racconti dei collaboratori di giustizia, secondo i quali i soldi della cosiddetta questua – la raccolta fondi nei quartieri per le candelore – sarebbero finiti a finanziare armi e droga per i clan. «Non è possibile che per tre giorni Catania sia fuori dalla legge – conclude Camarda – Ma non possiamo nemmeno sperare di cambiare la festa da un anno all’altro. Noi, intanto, chiediamo a tutti un impegno costante».

Claudia Campese

Giornalista Professionista dal 2011.

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