Un’agenzia regionale unica a cui affidare la gestione delle riserve naturali della Sicilia. Ai più attenti la proposta parlamentare targata Diventerà Bellissima, e dunque largamente condivisa dal presidente Nello Musumeci, non suonerà come una novità. Ed è così: seppure datata 9 giugno 2021, il disegno di legge, che attende di essere assegnato alle commissioni, rappresenta il punto di approdo di un’iniziativa che parte da lontano. Era il 2018 e il governo aveva da poco soffiato sulla prima candelina, quando Musumeci rese nota la volontà di rimettere mano al sistema delle governance delle aree naturali protette, proponendo l’istituzione di qualcosa in più di una cabina di regia centrale. Un indirizzo, quello verso la centralizzazione della gestione, che almeno sul piano degli intenti ha interessato in questi anni anche il settore dell’edilizia popolare, con l’idea di un’Agenzia regionale per la casa, e in maniera più sfumata gli aeroporti. Tre anni dopo, la proposta riguardante le riserve è più matura e figlia anche di confronti con le parti interessate, anche se non priva di aspetti poco chiari su quello che potrebbe concretamente accadere nelle aree tutelate dell’isola.
Partiamo dai numeri: tolti i parchi regionali, che non saranno toccati dalla riforma al momento le riserve naturali istituite sono poco più di una settantina, a cui potrebbe aggiungerse una decina da istituire. Poi ci sono le centinaia i punti che in maniera diversa sono sottoposti a tutele di diverso tipo, tra siti di importanza comunitaria (Sic), zone di protezione speciale (Zps) e zone speciali di conservazione (Zsc) che fanno parte di Rete Natura 2000, lo strumento con cui l’Unione europea ha riconosciuto l’estrema importanza di ampie porzioni di territorio. A gestire quasi il trenta per cento delle riserve da anni sono le associazioni ambientaliste: sei Legambiente, quattro il Wwf, tre il Cai, tre Lipu, due Gre e poi Italia Nostra e Rangers d’Italia con una a testa. Venti conduzioni che, secondo più di un osservatore, coincidono di fatto con le aree che si trovano nelle migliori condizioni. «Basta dare un’occhiata a quelle di competenza delle ex Province per farsi un’idea», commenta un ambientalista che preferisce rimanere anonimo.
Pensare però che le associazioni al momento abbiano intenzione di mettere il bastone tra le ruote alla riforma sarebbe sbagliato. Chi in maniera più netta, come Gianfranco Zanna di Legambiente secondo cui «è una proposta che convince», chi dichiarando di volersi prendere tempo per approfondire ma di considerare un buon punto di partenza il testo legislastivo, come il Wwf, a prevalere al momento sono le rassicurazioni conquistate dal governo. Su tutti quella riguardante il mantenimento del personale attualmente assunto dalle stesse associazioni. I dipendenti entrerebbero a far parte di un contingente a esaurimento con contratto di diritto privato e a disposizione della Regione, che li impiegherebbe insieme al personale in servizio che sarà assegnato in posizione di comando e a quello delle ex Province, laddove – va detto considerate le carenze di organico – ce ne sia. Questo perlomeno nella fase definita di «primo avvio».
Ciò potrebbe in linea teorica garantire anche una maggiore garanzia di puntualità nei pagamenti degli stipendi. Il tema negli anni passati è finito più volte al centro dell’attenzione, con ritardi anche di diverse mensilità e limitatezze legate ai capitoli di bilancio che, in materia di ambiente, sono sempre risicati. Spostando l’attenzione anche alle altre parti del disegno di legge, lo sguardo si sofferma su un passaggio che secondo molti rappresenta la principale criticità: la futura Agenzia regionale delle aree protette (Arap), subentrando nella gestione delle associazioni, si troverebbe a esprimersi anche in campo della valutazioni d’incidenza ambientale. Passaggio fondamentale specialmente quando sul tavolo – e in quello della Regione ultimamente capita quasi ogni giorno – progetti in qualche modo possono avere effetti sugli equilibri naturali dei territori. Al vertice dell’Agenzia, secondo i piani, ci sarebbe un direttore generale chiamato a consultarsi con un comitato d’indirizzo composto da dieci persone: tre indicati da Università, Cnr e Ispra; due dalle associazioni ambientaliste; due dall’Anci e tre scelti tra i dirigenti regionali. Tuttavia nella fase di primo avvio, che spesso in Sicilia non si sa mai quanto dura realmente, l’ente verrebbe affidato a un commissario scelto tra uno dei vertici della burocrazia siciliana. Senza coinvolgimento degli ambientalsiti.
Tra le proposte immaginate dagli uomini su cui Nello Musumeci può più contare all’Ars, c’è anche l’utilizzo degli operai forestali stagionali per i lavori da effettuare, come per esempio quelli propedeutici a prevenire gli incendi, e degli uomini del Corpo forestale in materia di controlli. La carenza di questi ultimi e il loro concentramento perlopiù nelle province settentrionali dell’isola, a partire da Palermo, nelle settimane scorse è stata tirata in ballo anche in occasione della decisione del ministero dell’Ambiente di chiudere la procedura che avrebbe dovuto portare allo stanziamento di fondi per la bonifica del Biviere di Gela. Da Roma la decisione è stata spiegata con l’incapacità delle istituzioni, soprattutto per la difficoltà nel controllare il territorio, di bloccare le sorgenti inquinanti.
«Gran parte delle riserve storicamente sono state formalizzate nel loro status grazie all’impegno delle associazioni – commenta Giuseppe Bombino, docente di Gestione dell’ambiente e degli ecosistemi forestali all’Università di Reggio Calabria – e questo vale non solo per la Sicilia. Pensare di non coinvolgerle nella gestione sarebbe un grosso errore, perché significherebbe fare venire meno i controlli dal basso che sono alla base dell’approccio ambientalista. Detto questo – continua l’esperto – la frammentazione del controllo da una parte garantisce una maggiore capillarizzazione della gestione, ma al contempo rischia di ridurre la capacità di coordinamento con i soggetti esterni alla riserva, perché la tutela dell’ambiente passa anche dagli interventi e dalle attenzioni che si trovano a ridosso dei perimetri ufficiali. E quindi la cosa migliore a mio avviso – conclude Bombino – sarebbe quella di riuscire a trovare la giusta sintesi tra una regia centrale e la necessità di restare presenti sui territori».
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