Una faglia che attraversa un centro abitato, provocando continui problemi alla vita di centinaia di cittadini, e uno studio multidisciplinare che si propone di analizzare attraverso sensori gps gli spostamenti del terreno. È il progetto portato avanti da circa un anno da due docenti del dipartimento di Scienze biologiche, geologiche e ambientali dell’università di Catania, Sebastiano Imposa e Giorgio De Guidi. Lo studio – a cui collaborano anche da assegnisti e dottorandi di ricerca, oltre a tesisti – fa parte di un accordo quadro stretto tra l’ateneo catanese e il Comune di San Gregorio per esaminare l’omonima faglia. Un fenomeno naturale forse poco conosciuto, ma con il quale gli abitanti del Comune etneo fanno i conti da tempo. «È una struttura che deforma parzialmente l’area del centro e crea ovviamente delle difficoltà agli edifici urbani», spiega De Guidi, esperto di Geologia strutturale e docente di Geomorfologia e tettonica attiva.
Grazie all’analisi dei dati inviati dai gnss – sistema satellitare globale di navigazione, tra i quali fanno parte i più famosi gps -, piazzati secondo una griglia già stabilita, sarà possibile monitorare lo spostamento della faglia. «Sono state fatte una serie di operazioni preliminari partendo dallo studio del campo di deformazione – precisa Imposa, professore di Esplorazione geofisica del sottosuolo e geofisica ambientale – Le comparazioni tra le deformazioni al suolo e quelle agli edifici ci danno un’indicazione di come e quanto la frattura si muova». Un rilevamento preciso nell’ordine di millimetri l’anno. Il progetto ha due obiettivi: «Il nostro scopo scientifico è mettere in relazione la deformazione con le caratteristiche meccaniche del sottosuolo. Per la comunità del Comune è riuscire a monitorare i movimenti e le variazioni delle aree deformate dalla struttura», afferma Giorgio De Guidi. E, di conseguenza, dare indicazioni a ingegneri e progettisti su come intervenire su abitazioni e muri costantemente danneggiati. La faglia di San Gregorio «in parte si muove continuamente, in maniera fluida. In altre zone, più a monte, la deformazione avviene mediante il rilascio brusco di energia elastica generando dei terremoti». A lui fa eco Imposa: «A San Gregorio la prassi è rifare le facciate degli edifici continuamente». Adesso si passa a un livello superiore: «L’impatto del nostro studio sarà visto nell’ottica della pianificazione territoriale che ogni Comune dovrebbe fare. Sulla base dei risultati ottenuti dallo studio si potrà agire sul Piano regolatore».
La collaborazione tra gli studi di settore e la vita dei Comuni, infatti, si fa sempre più stretta. Anche in virtù del piano di microzonazione sismica di primo livello, un sistema di analisi del territorio avviato in numerosi Comuni della provincia in collaborazione con Unict dopo i terremoti del 2002, i cui risultati sono pubblicati anche in un portale online. Secondo la nuova normativa, le amministrazioni «che hanno aderito al progetto hanno l’obbligo di attuare quanto previsto dai risultati della microzonazione sismica e di applicarli nella redazione del nuovo prg». Le difficoltà, oltre che economiche e di sensibilità rispetto al tema, sono numerose. «Stiamo esplorando il sottosuolo: dobbiamo mettere in condizione i progettisti di dimensionare le strutture in relazione ai siti in cui ricadranno. Ma stiamo lavorando su qualcosa che non vediamo e inoltre dobbiamo occuparci anche del recupero delle strutture esistenti – precisa Imposa – Un percorso che andrebbe fatto successivamente, nell’ottica di abbassare il livello di pericolosità sismica e di vulnerabilità degli edifici».
Quello di San Gregorio, il cui sindaco ha firmato la scorsa estate il protocollo con l’ateneo di Catania, è uno dei rari casi positivi. «Per di più l’amministrazione comunale ha destinato dei fondi per questo studio, finalizzati alla realizzazione di quelli che chiamiamo monumenti, cioè i pozzetti all’interno dei quali saranno cementati dei supporti in acciaio, che sosterranno gli strumenti di misura», descrive De Guidi. A breve – l’appalto è già stato aggiudicato – dovrà cominciare la realizzazione di questi pozzetti, «poi potrà iniziare la fase di monitoraggio strumentale». Lo studio del team sarà utile nel caso in verifichino eventi sismici causati dalle importanti strutture tettoniche che bordano la costa jonica. «Speriamo di no – premette Giorgio De Guidi – ma se dovesse verificarsi un evento, sapremmo il prima e il dopo. Conosceremmo l’intera storia del territorio». Anche perché, dal punto di vista economico, le risorse impegnate non sono proibitive: i due docenti metteranno a disposizione le strumentazioni e si occuperanno, insieme ai loro collaboratori, dei processi di acquisizione, elaborazione e interpretazione dei dati. dei dati. Quella sangregorese è un faglia abbastanza comune, «sono numerosi i centri abitati etnei interessati dalla presenza di faglie. «La faglia di San Gregorio rappresenta un laboratorio naturale per la realizzazione di modelli sperimentali», concludono gli esperti.
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