Il virus ebola, che secondo i dati diffusi dal Ministero della salute ha già fatto oltre 200 vittime tra Guinea, Mali e Sierra Leone, da giorni è protagonista delle paure degli italiani. In una nota ministeriale diffusa il 4 aprile si raccomanda alle autorità competenti di prestare particolare attenzione agli arrivi «diretti e indiretti» di persone provenienti dai Paesi dell’Africa sub-sahariana. Motivo per il quale gli sbarchi di migranti degli ultimi giorni in città, molti dei quali provenienti proprio dalle zone in cui l’Organizzazione mondiale della sanità ha individuato una «epidemia di ebola», destano preoccupazione. Un numero consistente di questi, nei giorni scorsi, ha raggiunto il nord Italia con i mezzi pubblici subito dopo gli sbarchi. «Episodi causati della scarsità di mezzi e della mancata assegnazione da parte del Comune di una ex caserma in via Zia Lisa per l’accoglienza dei migranti», denuncia viceprefetto Rosaria Giuffrè, responsabile dell’ufficio immigrazione della prefettura etnea.
«Nei punti di controllo di nostra competenza, ovvero il molo del porto di Catania e il Cara di Mineo, escludo qualunque pericolo di contagio, sia per l’ultimo sbarco che per i precedenti: è tutto sotto controllo», spiega Stefano Principato, commissario provinciale della Croce rossa. «Chiaramente, non posso garantire per la situazione sanitaria di chi è non è passato dai nostri punti di competenza – continua Principato – E capisco che ci sia una particolare attenzione al tema da parte dell’opinione pubblica: ma i nostri operatori controllano la situazione, utilizzando le precauzioni previste dai protocolli medici», sottolinea il commissario della Croce rossa. «Non è stato rilevato alcun sintomo di diffusione epidemiologica di nessuna malattia infettiva. Al Cara di Mineo, primo luogo interessato se ci fosse una epidemia, c’è un monitoraggio continuo», conclude Principato.
L’ebola, che si presenta con sintomi quali febbre alta e mialgia, ha un periodo di incubazione piuttosto breve: sempre secondo i dati del ministero, questa non supererebbe i 20 giorni. Escludendo, di fatto, i viaggi effettuati con mezzi diversi dall’aereo. «Le faccio un esempio: un uomo d’affari potrebbe ritornare in aereo ad esempio dall’Angola, ancora senza sintomi e non sapendo di essere stato infettato, diffondendo il virus», riferisce il viceprefetto Rosaria Giuffrè, facendo riferimento agli arrivi «indiretti» citati dal ministero.
«Lo screening sanitario viene fatto al momento dello sbarco, successivamente ai migranti viene offerto supporto sanitario, vengono fatti lavare e cambiati i vestiti, somministrati gli antibiotici», spiega Giuffrè. «Questo è l’unico modo che abbiamo per contrastare la diffusione di qualsiasi virus, ovvero garantire le adeguate misure igienico sanitarie: l’accoglienza è anche questione di autodifesa per chi lavora». Una potenziale falla nel sistema di controlli, è però ammessa dal viceprefetto: «Se avessimo i mezzi adeguati, non ci sarebbero casi di decine di persone che vanno via subito dopo i controlli, con conseguenze che non possiamo conoscere». Mezzi, ma anche strutture, come l’ex caserma dei carabinieri di Zia Lisa che non è mai stata resa disponibile per il servizio Immigrazione della prefettura. L’utilizzo dell’immobile avrebbe consentito un’adeguata accoglienza dei migranti, certamente più efficace rispetto a quella praticata al Palaspedini. «L’ipotesi di utilizzare la caserma di Zia Lisa è al momento saltata e su questo la colpa è dell’amministrazione comunale», conclude il viceprefetto.
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