Riposto, il ricordo di padre Stefano Pavone Tra passione civile e attenzione ai bisognosi

L’attenzione ai più bisognosi, ma anche la politica del territorio e il senso di comunità. Erano queste le passioni di monsignor Stefano Pavone, il 96enne ex parroco della Basilica di San Pietro a Riposto, venuto a mancare domenica scorsa a pochi giorni dal 70esimo anniversario dalla sua ordinazione sacerdotale. Ai suoi funerali, celebrati dal vescovo di Acireale, Antonino Raspanti, erano presenti centinaia di persone, nonostante l’orario lavorativo e il caldo asfissiante. Perché don Stefano – nonostante da quasi nove anni non fosse più il parroco della chiesa a causa dell’età – ha inciso profondamente nella vita di almeno tre generazioni. E di un intero territorio.

Padre Stefano, così voleva essere chiamato nonostante il titolo di monsignore, è stato un convinto difensore dell’autonomia amministrativa ripostese. Passando sotto i portici del palazzo municipale, più volte ricordava come durante il «periodo disgraziato», così era solito definirlo, dell’unione con Giarre, durata dal 1939 al 1945, quel luogo ormai svuotato del potere amministrativo la notte diventava un pubblico orinatoio. Proprio per questo, quando sul finire degli anni ’80 si vociferava di una possibile riunificazione dei due Comuni, lui fu tra i fondatori del Comitato permanente per l’autonomia di Riposto.

E non era questa l’unica passione civile di don Stefano. C’era il porto. Un lunedì di Pasqua chiese e ottenne che venissero accese le luci del nuovo porto turistico, non ancora inaugurato, perché San Pietro potesse benedirlo. Era convinto che il mare fosse la più grande risorsa della città, ma allo stesso tempo la meno sfruttata. Sognava che un giorno le navi da crociera potessero attraccare al molo e che il lungomare si potesse trasformare in una attrazione turistica dominata dall’Etna. Anche il rapporto con le varie amministrazioni comunali è sempre stato sereno, anche se non accondiscendente. Le cronache raccontano di diverse polemiche reciproche tra don Stefano Pavone e i vari sindaci ripostesi. Come con l’ultimo sindaco con cui don Pavone si è rapportato, Carmelo D’Urso, con il quale dal 1998 al 2006 ha intrattenuto dialoghi sereni in cui Comune e Chiesa erano tra di loro autonomi ma con rispetto. 

Padre Stefano, poi, aiutava tante persone in difficoltà. Spesso chi era senza lavoro si rivolgeva a lui per chiedere un aiuto. Per questo volle a tutti i costi che la parrocchia aprisse un banco alimentare gestito dalla Caritas. «Quella parrocchia era una casa – racconta Pietro Redi – Ogni giorno c’era qualcosa da fare, noi giovani di allora lo aiutavamo a fare tutto ed era bello perché ci faceva sentire parte di qualcosa di unico. Sentivamo di appartenere ad una grande famiglia. La chiesa era aperta a tutti e ogni giorno; ma i suoi confini travalicavano le mura della parrocchia, tutta Riposto ne faceva parte». «Era un simbolo per la mia generazione – spiega un’altra parrocchiana, Enza Leonardi – Era una persona all’apparenza molto rigida ma, come un padre, sapeva trasmettere affetto e gratitudine in tanti modi. Il giorno del suo onomastico, il 26 dicembre, facevamo sempre una grande festa: pulivamo e organizzavamo spettacoli, a decine ci premuravamo, muovendoci come una grande famiglia. Ci sentivamo seguiti, e la sua estrema attenzione per le piccole cose faceva sempre la differenza».

Dario Calderone

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