Riparte il sogno del vero Partito Democratico

Per quanto in politica non esistano copywrite e primogeniture, credo che sia universalmente noto che la prima formulazione del Partito Democratico in Italia, come superamento della visione ideologica della Politica, si debba all’intuizione di personalità di diversa formazione culturale che all’inizio degli anni 90 si riconobbero nel progetto politico rappresentato dal Movimento per la Democrazia – La Rete, sorto dopo la grande esperienza della Primavera di Palermo e diffusosi in ogni regione del Paese, quale genuino interprete in quegli anni del desiderio di cambiamento.

Erano anni in cui la prosecuzione della cosiddetta Prima Repubblica costituiva l’unico orizzonte politico, esisteva la Balena Bianca, il Pci aveva ancora addosso la ferita bruciante della Bolognina e delle conseguenti scissioni e si discuteva della possibilità di eleggere Giulio Andreotti Presidente della Repubblica. Il fenomeno di Mani Pulite e la giubilazione del 7 volte presidente del Consiglio, nominato senatore a vita – e disinnescato – da Francesco Cossiga, avrebbero sconvolto poi il panorama politico e fatto nascere nuovi raggruppamenti.

L’esperienza della Rete ebbe immediato successo: alle regionali siciliane del 1991 elesse 5 deputati e raggiunse alle politiche del 1992 l’1,9% (non esisteva lo sbarramento) raggiungendo poi il massimo storico con l’elezione di Leoluca Orlando a Sindaco di Palermo nel novembre 1993 con oltre il 75% dei consensi, al primo turno e la piena maggioranza del centrosinistra a Sala della Lapidi, formata da consiglieri retini e (Ricostruire Palermo).

Nel 1994, a pochi mesi da quel lusinghiero risultato, la “gioiosa macchina da guerra” di Achille Occhetto, sicuro come il PD di poche settimane fa di vincere le elezioni politiche, conobbe la bruciante sconfitta ad opera di Forza Italia, il movimento politico di Silvio Berlusconi, nato nel volgere di pochi mesi e che raccolse molti “profughi” della DC e del PSI, ancora disorientati dalla scomparsa dei rispettivi storici partiti.

In Sicilia l’affermazione del centrodestra fu straordinaria e diede inizio a quel ventennio che ci avrebbe regalato prima Totò Cuffaro e poi Raffaele Lombardo e avrebbe garantito in modo plebiscitario a Berlusconi e a Miccichè la scena politica nazionale.

La reazione a tale fenomeno vide sorgere nel PDS-DS la consapevolezza che non vi sarebbe stata alcuna prospettiva di competere politicamente con Berlusconi se non contrapponendogli un candidato premier che venisse dall’area del mondo cattolico e potesse fare sintesi dei Progressisti.

Nacque così l’ Ulivo quale coalizione orientata al centrosinistra (senza trattino, come si disse allora) e guidato da Romano Prodi la cui candidatura vide la luce sulla rivista Micromega con l’articolo “L’Italia che vogliamo”. Chi scrive, già allora consigliere comunale della Rete, costituì il primo circolo a Palermo, consapevole di come quel progetto si collocasse nella prospettiva della nascita del Partito Democratico, inteso come convergenza di più identità e non, come poi invece avvenne, come coalizione di partiti, fragile ed esposta ai dissensi che più volte bruciarono lo stesso Prodi.

Ho voluto ripercorrere sinteticamente, e a motivo di ciò certamente in modo lacunoso, venti anni di storia politica italiana prima di rintracciare molte analogie che oggi sono sotto gli occhi di tutti.

Ancora una volta una coalizione di partiti di centrosinistra, tutti dentro la cultura politica del XX secolo, ha perso elezioni che solo pochi mesi sarebbero state vinte; ancora una volta ciò ha rimesso in sella Silvio Berlusconi regalandogli la golden share del Governo Letta, ancora una volta il “rito di passaggio” ha rivelato la debolezza del PD e la sua incapacità/impossibilità correntizia di essere qualcosa di diverso da un partito tradizionale, consegnando “l’ago della bilancia” a movimenti ancora opachi nelle scelte e nei comportamento come il 5 Stelle di Beppe Grillo.

Sono ormai anni che i partiti tradizionali e le rispettive coalizioni hanno esaurito la propria ragione di esistere in quanto proiezioni di una società diversamente articolata in cui l’approccio ideologico coincideva con classi sociali, appartenenze identitarie e confessionali, visioni del mondo opposte e inconciliabili, pronte a diventare ostacolo insormontabile ad ogni progetto di cambiamento reale del Paese.

Nel mondo globalizzato e interconnesso, nelle economie terziarizzate e finanziarie, nella mobilità di persone, merci ed idee a livello europeo e planetario, quei partiti e quelli nuovi che erano sorti nel frattempo, hanno mantenuto inalterate logiche di scelta della classe dirigente, appartenenze correntizie, dominio delle tessere sui progetti, insomma non si sono accorti che il mondo era cambiato ed hanno scavato un solco profondo tra politica e società, lasciando quest’ultima, avvilita dalla crescente impossibilità di far fronte a bisogni primari, in preda – come accaduto più volte nel mondo – di nuovi imbonitori, venditori, come il personaggio interpretato da Sergio Castellitto de L’Uomo delle Stelle, di sogni affascinanti ma impossibili perché disancorati dalla realtà di una società profondamente arretrata sul piano culturale, politico, lavoristico e infrastrutturale e pronta ad affidarsi ad una protesta senza progetto.

In questo scenario governativo , ormai immutato da oltre due anni, seppur spacciato prima come “tecnico” e ora come “politico” i partiti stanno continuando a recitare il ruolo di sempre, rischiando di bruciare nuove risorse approdate in Parlamento da strade diverse ma pur sempre in larga misura rinnovate e potenzialmente in grado di concepire logiche e progetti diversi da quelli – unici pensabili – da quanti li hanno preceduti su quegli scranni.

Se il Paese dovesse bruciare anche questa generazione di rappresentanti, non resterebbe che ricorrere, come avvenne in Italia nel 1917, alla fine della prima guerra mondiale, al reclutamento di ragazzi del ’99, non ancora diciottenni!

Fuor di metafora, l’arresto del percorso verso un Partito Democratico che, piuttosto che traghettare vecchie classi dirigenti verso il mantenimento di rendite e privilegi, rifondasse il nuovo ruolo di strumenti costituzionalmente previsti, alla luce della modernità, sostituendo le identità alle appartenenze è la principale causa degli ulteriori ritardi che hanno aggravato il divario tra l’Italia e il resto dell’Unione e che sono dovuti, ben oltre l’ammontare del Debito Pubblico, alla mancanza di una nuova cultura della Politica e del Governo.

L’iniziativa lanciata in questi giorni da individualità di variegata formazione culturale di rilanciare un grande cantiere per la nascita del vero Partito Democratico ad opera di persone e non di partiti, sembra fare moviola del nostro passato e focalizza la necessità di prendere atto che l’attuale soggetto cui diamo tale nome ha profondamente fallito proprio perché alla sua nascita erano presenti la fate malevole che ne hanno maledetto ogni crescita ed evoluzione in senso europeo, dove esso avrebbe potuto rappresentare un nuovo motore rispetto alle due principali vetuste formazioni politiche che siedono a Strasburgo, vivificando quel sogno europeo che il 9 maggio di 63 anni, fu all’origine della più grande innovazione economico-politica della storia mondiale.

Si apra allora in questi mesi che inevitabilmente dovremo sopportare come l’ultimo prezzo da pagare per gli errori del passato, una fresca stagione di riflessione politica e di assunzione di responsabilità individuali e collettive. Si inauguri un grande cantiere che abbia come programma la realizzazione compiuta della Costituzione Repubblicana, ancora intatta nella carica ideale, nel profetismo istituzionale e nel grande amore per il futuro di questo Paese, nato in anni straordinari di passioni reali maturate nella sofferenza e nella speranza.

E, come allora, si guardi alle storie e alle idee delle persone e non dei partiti, alla salvaguardia del Bene Comune e non delle cariche e delle poltrone, alla dignità del servizio politico e non alla sterile ed avvilente gara a chi ne vorrebbe ridurre, se non umiliare, il valore di massima magistratura liberamente eletta dalla Comunità.

 

Loris Sanlorenzo

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