Una sfida che in altri Paesi è stata lanciata già qualche decennio fa, ma che in Italia rappresenta una novità ancora fresca. Si tratta delle comunità energetiche rinnovabili (Cer), la cui introduzione risale al decreto Milleproroghe del 2019. In Sicilia, che per il settore delle rinnovabili da anni rappresenta la terra promessa, sia che si abbia a cuore l’ambiente che per chi è in cerca di nuove possibilità di speculazione, si stanno compiendo i primi passi per arrivare alla costituzione delle Cer.
A Ragusa e a Sferro, nel territorio di Paternò (Catania), qualcosa ha iniziato a muoversi, per iniziativa rispettivamente del Comune e del Consorzio di bonifica Sicilia Orientale. Ma di cosa si tratta? La normativa introdotta con il primo governo Conte ha di fatto creato i presupposti affinché singoli cittadini, imprese e soggetti pubblici possano trasformarsi in produttori di energia, con l’obiettivo di puntare a soddisfare il proprio fabbisogno. Per farlo bisogna costituire una comunità a tutti gli effetti che ruoti attorno alla stessa cabina di trasformazione e poi puntare su forme di energie rinnovabili. Come il fotovoltaico. Il vantaggio, per chi aderisce, è quello di ritrovarsi a fine anno una quota parte dell’incentivo che Gse – la società del ministero dell’Economia che si occupa di gestire i servizi energetici – riconoscerà alla comunità.
Tra chi è convinto che il futuro possa passare anche dalle comunità energetiche rinnovabili c’è la start up siciliana Macs, che sta sviluppando i due progetti pilota. «Siamo alle fasi iniziali, con gli enti che stanno sondando il terreno per capire chi è interessato a un’iniziativa che ha molte potenzialità», commenta Mirco Alvano di Macs. La legge prevede che la potenza massima che può essere prodotta da una singolo impianto aderente alla Cer è di 200 chilowatt. Misura decisamente più piccola rispetto ai mega-impianti che alcuni privati vorrebbero realizzare in Sicilia, sfruttando anche la disponibilità di molti a vendere i propri terreni agricoli, ma che comunque può coinvolgere un numero elevato di utenze. «Nel caso di Ragusa sono migliaia le utenze che potrebbero essere coinvolte», specifica Alvano.
Se per i privati l’opportunità è quella di riuscire a recuperare parte delle somme spese annualmente per rifornirsi di energia elettrica, le comunità energetiche potrebbero rappresentare in linea teorica una minaccia per i colossi del settore. «In un panorama in cui tanti soggetti imprenditoriali e gruppi di professionisti portano avanti iniziative che si muovono al limite della speculazione, le comunità energetiche potrebbero rappresentare forme di cittadinanza attiva dall’elevato valore etico – commenta a MeridioNews un esperto che preferisce rimanere anonimo «per ragioni d’opportunità» -. Il controllo della produzione e della distribuzione dell’energia è alla base della ricerca del potere che, in alcune parti del mondo, non di rado porta alle guerre».
Dalle nostre parti, ma qualcosa di simile pare succedere anche nelle altre regioni, qualche rallentamento si è registrato nei tempi con cui i soggetti distributori dell’energia. Ovvero quelle società – diverse da quelle con cui si stipulano i contratti di fornitura – che sono responsabili di fare arrivare la corrente nelle case di tutti, tramite le reti. I distributori sono anche proprietari dei contatori, elemento fondamentale per ragionare sulla formazione di una comunità energetica, considerata la neccessità di conoscere nel dettaglio i dati riguardanti le cabine di trasformazione. «Ostruzionismo? Diciamo che di certo i tempi si stanno rivelando molto lunghi», chiosa Alvano.
La partita sulle Cer è dunque ancora tutta da giocare. Tuttavia, dopo i casi di Ragusa e Sferro, in altre parti della Sicilia si inizia a pensare alla possibilità di muovere qualche passo in direzione dell’autosufficienza energetica. Nei prossimi mesi altri progetti potrebbe sorgere, uno dei quali a Milo, piccolo centro ai piedi dell’Etna.
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