Rimossa la lapide per i deportati Glbt Open mind: «Storia di Catania cancellata»

Lo scorso 4 luglio l’associazione Open mind Glbt Catania, in occasione dell’Independent Catania pride aveva ricordato con un triangolo di marmo rosa «le donne e gli uomini glbt massacrat* nei campi di concentramento nazisti». Con loro venivano ricordati anche «i 45 omosessuali di Catania e provincia mandati al confino nelle isole Tremiti dal Questore di Catania Alfonso Molina nel ventennio fascista», come recita il il testo sulla lapide. Piazzata all’interno del palazzo della Cultura di via Vittorio Emanuele, è stata però rimossa qualche settimana fa dal luogo dove era stata affissa e, senza preavviso, riposta in una stanza dell’ex convento. Dopo essersi accorti del fatto, lunedì scorso i membri dell’associazione ne hanno ripreso possesso. «Dal Comune ci hanno riferito che il triangolo doveva essere rimosso perché erano state esercitate pressioni da parte dei discendenti del questore», racconta Roberto Lucifora, segretario dell’associazione per la difesa dei diritti di lesbiche, gay, bisessuali e transgender. Che commenta: «Troviamo inaccettabile il comportamento dell’ineffabile sindaco Enzo Bianco. Invece di chiedere perdono alle persone che hanno sofferto ingiustamente, si infligge un’altra ferita alla libertà, all’antifascismo di questa sventurata città».

«La nostra posizione non è polemica, ma serve a sottolineare un dato politico: hanno raccolto una istanza per far rimuovere da un luogo pubblico un simbolo della memoria, che non si può cancellare», commenta la presidentessa dell’associazione Sara Crescimone. Che annuncia: «Troveremo presto un luogo pubblico degno di questa parte di storia di Catania». La lapide è la terza che viene realizzata in ricordo dei iarusi, come venivano definiti i giovani deportati, che a cavallo tra gli anni trenta e quaranta frequentavano l’antico lungomare catanese. Le prime due, affisse in prossimità di un luogo simbolo, il platano di via Dusmet che è stato per anni nel secolo scorso il punto d’incontro degli omosessuali in città, erano state rubate e fatte sparire. «Inizialmente volevamo mettere la lapide negli archi della marina, ma la proprietà non è comunale ma delle Ferrovie dello stato – continua Crescimone – Dopo una richiesta all’arcivescovado per poter mettere  la lapide nelle mura esterne del loro edificio, rimasta senza risposta, visto il rischio di vederlo distrutto abbiamo avuto la disponibilità del Comune per il cortile Platamone: una sistemazione temporanea», racconta. Ad agosto però l’associazione ha fatto richiesta per tenere la lapide stabilmente all’interno dell’edificio comunale, «con un atto di donazione al Comune. Per noi sono luoghi delle donne e degli uomini, non sono solo luoghi istituzionali e di potere. Adesso vogliamo metterla in un luogo che sia della città, ci piacerebbe che fosse messo in una strada», conclude Crescimone.

Leandro Perrotta

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