«È una questione di giurisprudenza». La sentenza della Corte di cassazione riguardo il «diritto di morire dignitosamente» di Totò Riina sta spaccando l’opinione pubblica. A entrare nel merito, spiegando le ragioni che hanno spinto gli ermellini a produrre un documento che mette in discussione quanto stabilito dai giudici di Bologna ci pensa Giovanni Fiandaca, garante siciliano dei detenuti, secondo cui la sentenza della Cassazione «ha affermato e in parte ribadito principi che io condivido, sia come professore di diritto penale che come garante. Si tratta – spiega – di principi stabiliti dalla nostra Costituzione e dalla Corte europea dei Diritti dell’uomo».
Fiandaca è d’accordo anche sulla richiesta da parte dei togati della Corte di maggiori spiegazioni riguardo all’effettiva pericolosità attuale di Riina. «È anche corretto e necessario – continua – riformulare il giudizio di pericolosità non limitandosi a dire soltanto che Riina è un grande capo e quindi pericolosissimo. Bisogna riattualizzare questo giudizio mettendo in evidenza quali sono le ragioni specifiche che oggi farebbero ritenere che fuori dal carcere Riina possa essere ancora impartire comandi». Il garante è molto critico anche nei confronti del clamore che la notizia ha generato. «Non mi sembra giustificato questo trito dibattito che si sta sviluppando sui media, lo vedo culturalmente non particolarmente elevato».
Le condizioni del boss, sono comunque critiche. «Riina è in ospedale, sta molto male, c’è stato un peggioramento nell’ultimo periodo» racconta a MeridioNews il legale del corleonese, Luca Cianferoni, che a sua volta è entrato nel merito della sentenza. «In Europa – dice – i temi della salute del detenuto sono molto considerati e la Corte di cassazione non ha fatto che applicare la giurisprudenza europea, niente di più e niente di meno. Devo dire che il caso ha del paradossale e non sapendo i giudici di Bologna cosa scrivere era uscita fuori un’ordinanza assolutamente contraddittoria e quindi da annullare».
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