Riina, il dibattito sull’eredità criminale del capo dei capi Lupo: «Cosa nostra non ha bisogno di un leader unico»

Capo dei capi, superboss, padrino, cupola, piovra. Sono molte le parole su cui, con la morte di Riina, bisogna ragionare. Per capirne l’attualità e, di conseguenza, segnare il confine tra la realtà – fatta di inchieste giudiziarie, arresti, crimini e affari – e la narrazione che da sempre caratterizza Cosa nostra. In tal senso la figura di Totò u curtu, con i suoi 26 ergastoli e le centinaia di morti addebitategli, ha avuto un ruolo fondamentale: il boss corleonese, infatti, ha incarnato più di ogni altro la violenza della mafia siciliana, entrando da protagonista in parecchie delle pagine più nere della storia italiana degli ultimi cinquant’anni. È per questi motivi che la domanda che più circola in queste ore riguarda l’eredità criminale di Riina. In cosa consiste? Chi la riceverà? Le risposte non vanno tutte nella stessa direzione.

I quesiti nascono dalla considerazione secondo cui, nonostante gli 87 anni – con gli ultimi 24 trascorsi dietro le sbarre – e il cattivo stato di salute, Riina è sempre rimasto leader indiscusso di Cosa nostra. Un riconoscimento derivante dal carisma mantenuto anche, e per certi aspetti soprattutto, dopo l’arresto avvenuto all’uscita del covo di via Bernini a Palermo, il 15 gennaio 1993, ma legato anche alle ferree regole che regolerebbero l’organizzazione. A pensarla così è chi ogni giorno lavora sul territorio, cercando di ricostruire la rete di rapporti che intercorrono tra le famiglie mafiose, nella consapevolezza che anche per la criminalità organizzata equilibri e accordi sono fondamentali per tutelare i propri business. In tal senso, da fonti investigative trapela il convincimento che nel prossimo futuro – settimane o mesi, è difficile stabilirlo – i leader dei diversi territori si riuniranno per decidere il nuovo capo. Un incontro che potrebbe tenersi secondo gli schemi tradizionali, alla larga da qualsiasi sussidio tecnologico. Una tesi sostenuta anche dallo storico giornalista Attilio Bolzoni, secondo cui prima della morte di Riina non sarebbe stato possibile eleggere un suo sostituto. 

C’è poi però chi è di tutt’altro avviso. Si tratta di Salvatore Lupo, ordinario di Storia contemporanea all’Università di Palermo ed esperto del fenomeno mafioso e di come, nello specifico, esso si sia evoluto nel corso dei decenni. Per il docente, immaginare una riunione segreta necessaria alla ridefinizione del nuovo assetto di Cosa nostra è irreale. Almeno per quanto riguarda l’importanza di trovare un nuovo capo dei capi. «Non credo affatto che Riina, dopo 20 anni di prigione, fosse ancora il capo di Cosa nostra – commenta Lupo -. Tra l’altro questa mitologia è fuorviante. La stampa, le fiction e qualche volta anche le autorità fanno un grande favore alla mafia, accreditando queste figure di superboss. E anche se volessimo supporre che in un passato sia stato così, il processo di centralizzazione risale a 30 anni fa, non a ieri». 

Secondo lo storico, oggi, Cosa Nostra non avrebbe bisogno di stabilire leadership con passaggi di testimoni ufficiali. «La mafia è formata da una pluralità di bande affaristiche e politiche, e chiaramente criminali – continua -. Parliamo di un’organizzazione collettiva, con le famiglie che si autodeterminano guardando innanzitutto agli affari. Riunioni? È chiaro che possano esserci per trovare accordi, ma parliamo appunto di mettersi d’accordo su interessi specifici, non di definire organigrammi».

Sorvolare sul ruolo che ha avuto Riina all’interno di Cosa nostra, tuttavia, sarebbe un errore. «Riina e i corleonesi riuscirono a imporre una centralizzazione, ma lo fecero mettendo sul campo un livello di terrorismo che oggi non c’è. E non diciamo che oggi se non si spara come un tempo è perché Cosa nostra ha equilibri consolidati, perché così rischiamo di vanificare i risultati raggiunti fino a oggi da forze dell’ordine e società civile», sottolinea Lupo. 

Lo storico poi fa riferimento ai dibattiti che in questi anni più volte sono stati fatti per immaginare cosa sarebbe accaduto dopo la morte di Riina. «Di questa successione monarchica non c’è traccia, se non investendo Messina Denaro di un ruolo che non può affatto ricoprire, a partire dal fatto che non è palermitano». Ancora meno senso ha quindi immaginare una votazione del nuovo capo. «Elezioni? Ma quando mai, non scherziamo. È sempre il denaro e la violenza che innescano e risolvono i contrasti in quel mondo», conclude Lupo.

Simone Olivelli

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