Rigettata istanza sospensione pena per Dell’Utri «Nessuna criticità, trattamenti attuabili in carcere»

Marcello Dell’Utri resterà in carcere. Respinta la richiesta di sospensione della pena presentata nei mesi scorsi dai suoi legali. Così ha deciso il tribunale di sorveglianza di Roma. L’ex senatore sta scontando una condanna a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Per il procuratore generale Pietro Giordano dovrà continuare a scontare la sua pena nel carcere di Rebibbia, malgrado le patologie cardiache e oncologiche da cui sarebbe affetto, andando contro il parere degli stessi consulenti della Procura generale. Sulla questione è intervenuta anche la Corte europea dei diritti umani, che ha chiesto al governo italiano di valutare se questo sia o meno un caso di trattamento inumano e degradante. 

«Sulla scorta del quadro clinico complessivo i periti hanno concluso per la compatibilità con il carcere non emergendo criticità o urgenze tali da rendere necessario il ricorso a cure o trattamenti non attuabili in regime di detenzione ordinaria». Questa la motivazione del tribunale di sorveglianza, secondo cui i trattamenti farmacologici necessari e adatti alla sue condizioni di salute possono attuarsi in carcere. Non risulta, ai giudici romani, nessun aggravamento delle condizioni dell’ex senatore. 

«Vogliono lasciar morire Dell’Utri in cella. Firma anche tu per chiedere la sospensione della pena». Titolava così, lo scorso luglio, un articolo apparso sul quotidiano romano Il Tempo a firma del giornalista Luca Rocca, che lanciava online la petizione per raccogliere le firme in favore proprio della sospensione della pena per Dell’Utri. L’ex senatore è stato riconosciuto un tassello fondamentale della presunta trattativa fra Stato e mafia, l’anello di congiunzione che univa l’ex premier Silvio Berlusconi e Cosa nostra. «Dell’Utri ostaggio di Stato», scrivevano alcuni sostenitori che hanno portato il dibattito anche sulle piattaforme social e che si sono assunti quasi l’incarico di farsi portavoce della petizione lanciata dalla redazione romana. «Dell’Utri è un carcerato politico che ha dato fastidio alla mafia, probabilmente anche ai magistrati», commenta qualcun altro, sulla stessa falsariga, a mezzo Facebook. «Una misera vendetta truccata da giustizia», fa eco un altro utente.

A lanciare l’allarme sulle condizioni di salute dell’ex politico era stato anche il Garante dei diritti dei detenuti della regione Lazio, affermando che «il medico del carcere di Rebibbia – dove Dell’Utri si trova detenuto dopo l’iniziale esperienza nella casa circondariale di Parma – in una recente relazione del 10 maggio ha descritto un quadro clinico grave per le pluripatologie diagnosticate, tanto da ritenere la sua situazione incompatibile con il regime carcerario». Ma il 31 maggio il magistrato di sorveglianza ha rigettato in via provvisoria l’istanza di sospensione della pena per motivi di salute, fissando una nuova udienza per settembre, slittata poi anche quella. Uno stacco temporale ampio che aveva innescato la reazione dei giornalisti de Il Tempo e dei cittadini che da anni seguono le vicende giudiziarie dell’ex politico. A battersi è anche Miranda Ratti, moglie di Dell’Utri, in prima linea nel rivendicare la necessità della scarcerazione. Non è rimasto indifferente nemmeno l’Osservatorio Carcere dell’Unione delle Camere penali italiane, che ha diffuso un dato allarmante.

«I decessi in carcere nel 2016 sono stati 115. E al 21 giugno scorso siamo a 53 – scrivevano solo pochi mesi fa – Una media di circa dieci morti al mese. Un numero enorme se si tiene conto del dato che l’età media dei reclusi non è certo quella per cui la perdita della vita è un fatto naturale». Una statistica che ancora una volta, come già accaduto in passato, potrebbe costringere il sistema giudiziario italiano a fare i conti con le condizioni di detenzione, in caso di detenuti affetti da patologie. «Ancora una volta sono i personaggi famosi ad accendere il riflettori sul sistema Giustizia che non funziona», continuava la nota dell’Ucpi, che su questo fronte prometteva battaglia: «Vogliamo continuare a denunciare l’assordante silenzio dei media sulle problematiche della detenzione. Sui morti comuni, sulle malattie prese in carcere, sulla dignità calpestata, sulla vergogna di celle umide e maleodoranti, su servizi igienici a vista, sulla detenzione speciale che vieta il trattamento individualizzato, su liberazioni anticipate che vengono decise quando il detenuto è stato già scarcerato, sull’assenza di educatori e psicologi».

Persino Giuseppe Graviano, durante una delle passeggiate intercettate l’anno scorso insieme a Umberto Adilnofi, parla delle condizioni di salute dell’ex politico, dopo aver sentito l’intervento della moglie Miranda in una trasmissione: «Umbè, gli è partito il midollo osseo, è un’infezione e viene curato al Pertini, dice che è grave, ha settantacinque anni, dice “il carcere io non lo auguro a nessuno, no perché c’è mio marito, non lo auguro a nessuno”». La donna si lamenta anche del fatto che possa vedere il marito solo una volta a settimana per un’ora, e subito parte la replica del boss di Brancaccio: «Minchia ho detto…noi un’ora al mese». E ancora le telefonate, solo due di dieci minuti l’una ogni mese, e i libri solo se non hanno una copertina rigida, dove può esserci nascosto dentro qualcosa. «Cioè, a te li fanno entrare i libri e a noi che non li fanno entrare… ?! Non sono tutte leggi che ha fatto tuo marito con l’amico?», insiste, riferendosi anche all’ex premier Berlusconi.

Silvia Buffa

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