Rilanciare il 118 in Sicilia, salvando quei modelli di eccellenza, come nel caso di Messina. È questa la proposta attorno a cui ruota il nuovo protocollo d’intesa siglato la scorsa settimana tra i governatori della Sicilia e della Lombardia, Nello Musumeci e Attilio Fontana. Pochi i punti fin qui noti, mentre il nuovo piano aziendale della costituenda agenzia unica Areus sarebbe in via di definizione, per essere presentato alla commissione parlamentare di merito all’Ars entro fine anno. Certamente ci sarà una sostanziale integrazione nei servizi tra elisoccorso e trasporto su gomma (ambulanze). E poi nuovi strumenti, dagli occhiali a infrarossi fino ai verricelli, passando per un aumento considerevole di auto medicalizzate (che al momento comprendono la presenza di un autista soccorritore, un infermiere e un medico), per sganciare il medico in servizio al 118 dal percorso delle ambulanze. Un aspetto che appare però in conflitto con quei numeri «di eccellenza» a cui ha fatto spesso riferimento l’assessore alla Salute Ruggero Razza.
Guardando la fotografia dello stato attuale del servizio di emergenza/urgenza sanitaria in Sicilia ad oggi, ecco che quel modello Messina di cui spesso si parla comprende una flotta di 38 ambulanze, di cui ben 25 con medico a bordo, alle quali si aggiungono 11 mezzi di base (con a bordo due autisti soccorritori) e due automediche. A differenza, ad esempio, di Palermo o Catania, dove le proporzioni sono ben diverse. Nel capoluogo, su 62 ambulanze della Seus (la partecipata della Regione che attualmente gestisce il servizio di emergenza su gomma), appena 20 hanno il medico a bordo, cinque sono fornite di infermiere e 34 sono quelle di base, mentre le automediche sono tre. A Catania le proporzioni si alzano un po’, pur restando lontane dal modello messinese: 42 ambulanze in totale, di cui 19 con medico a bordo, cinque con infermiere e 18 di base.
Insomma, da una parte si vanta l’eccellenza nei servizi di soccorso sullo Stretto. E dall’altra, però, si propone un sistema in antitesi rispetto a quel modello, aumentando il parco di automediche e slegando appunto i dottori in servizio dall’ambulanza.
Tra le osservazioni ammesse da Razza nella scorsa settimana, c’è un altro tema che sta particolarmente a cuore a chi ogni giorno sale a bordo di un’ambulanza e soccorre i siciliani. Si tratta proprio degli autisti soccorritori e in particolare di quella fetta sempre più consistente di uomini e donne in servizio che vengono dichiarati dal medico del lavoro inidonei a ricoprire la mansione di autista soccorritore. Un aspetto non secondario, considerato che il contratto di lavoro con cui i circa 3000 soccorritori assunti alla Seus non prevede una ricollocazione in caso di inidoneità.
Razza ha più volte posto il tema, ammettendo che il nuovo sistema Areus, all’interno del quale sarà presumibilmente attivata una convenzione con Seus, prevederà un approccio «ad ascensore» per i dipendenti della partecipata. Cioè, chi per malattia o per naturale avanzamento dell’età, non sarà più ritenuto idoneo al sollevamento di una barella, potrà essere ricollocato altrove. Una piccola rivoluzione per tutti quelli che, fino ad oggi, hanno rischiato di perdere il lavoro per ragioni di salute.
È proprio guardando alla situazione degli inidonei che nei mesi scorsi tra gli autisti soccorritori della Seus è nato il Movimento unito dipendenti 118 sicilia, che ad oggi raggruppa sotto un’unica sigla oltre 500 persone che ogni giorno lavorano a bordo delle ambulanze siciliane.
«Il nostro movimento – spiegano dalla segreteria regionale del movimento – nasce alcuni mesi fa, quando è scomparso un nostro collega ad Agrigento. È stata una vicenda molto dolorosa che ha segnato tutti noi, lui ha tenuto nascosti i problemi fisici che la sua malattia gli causava quasi fino all’ultimo, per evitare di essere dichiarato inidoneo e perdere il lavoro».
Sarebbero al momento circa 40 gli autisti soccorritori dichiarati inidonei in tutta la Regione. «Alcuni, laddove possibile, sono stati spostati negli uffici amministrativi sempre dentro Seus, ma circa 15 di loro – aggiunge Alfano – hanno perso il lavoro, perché in base ai territori in cui lavoravano non c’è stato dove ricollocarli. Tutto è partito da quel collega coraggioso di Agrigento, che ha lavorato nonostante la malattia, cercando fino alla fine di risultare idoneo. È stato allora che è nata una prima chat con altri colleghi per creare un fondocassa da devolvere alla famiglia, e un fondo per chi dovesse venire a mancare. Poi dai giornali abbiamo letto il progetto sulla creazione di Areus e da lì abbiamo deciso di dar vita al nostro movimento, per proporre le nostre soluzioni alle criticità gestionali della Seus».
Più volte, si diceva, l’assessore Razza ha ribadito l’esigenza della creazione di una nuova agenzia, anche nell’ottica di dare una risposta a quei soggetti che vengono dichiarati inidonei al servizio di autista soccorritore. «Ben venga – sottolineano ancora dalla segreteria -, anche perché col passare degli anni diventeremo tutti inidonei a sollevare barelle pesanti e spesso in situazioni estreme. In queste condizioni è facile incappare in qualche danno fisico».
Tuttavia, non si limitano a dire«non vogliamo perdere il lavoro». Il Movimento dipendenti 118 Sicilia avanza invece proposte rispetto alle possibili soluzioni. Ad esempio il ricollocamento degli inidonei nei cosiddetti box di ripristino. Si tratta di stanze adibite nei pronto soccorso in cui si trovano le attrezzature di riserva a disposizione del 118. «Lì – sottolineano – si possono monitorare le condizioni del paziente e interscambiare i presidi sanitari. Perché spesso magari arriviamo in pronto soccorso con un politraumatizzato e non possiamo far ripartire l’ambulanza fino a quando il paziente indossa i presidi sanitari, dalla spinale al collare, del mezzo di soccorso del 118. E l’ambulanza automaticamente si ferma, possibilmente causando ritardi verso altri servizi». Oltre che il proliferare delle chiamate alle ambulanze private, visto che il mezzo pubblico è bloccato (le cosiddette eccedenze negli ultimi anni si sono decuplicate).
Così, ecco che nei box di ripristino, dove rimangono le attrezzature di proprietà del 118, gli inidonei potrebbero prestare un servizio utile a ridurre i tempi morti delle ambulanze. «In questo modo, naturalmente dopo il triage, potremmo lasciare in carico il paziente al pronto soccorso, recuperare per esempio una nuova spinale dal box di ripristino e far ripartire l’ambulanza. Il collega inidoneo resterebbe invece in pronto soccorso: seguirebbe il paziente, recupererebbe i presidi sanitari del 118, si occuperebbe della pulizia e sterilizzazione degli strumenti, per poi rimetterli nel box di ripristino a disposizione dell’ambulanza successiva».
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