Se si fa fatica a garantire trasporti sicuri alle persone e l’economia risente delle difficoltà a spostare le merci, come si può immaginare di far viaggiare le scorie radioattive per la Sicilia? Potrebbe sembrare un paradosso da bar, ma la riflessione è ben più seria e rappresenta uno dei pilastri su cui poggia lo studio che, a breve, il governo Musumeci dovrebbe mandare in via Marsala, a Roma, dove ha sede la Sogin, la società di proprietà del ministero delle Finanze che è stata incaricata di occuparsi dell’individuazione del sito in cui realizzare il deposito nazionale per i rifiuti radioattivi. Nel lungo elenco di siti papabili ce ne sono quattro che si trovano in Sicilia: Trapani, Calatafimi-Segesta (Trapani), Castellana Sicula-Petralia Sottana (Palermo) e Butera (Caltanissetta).
Seppure tutti e quattro le aree siano state collocate in terza fascia, ovvero tra quelle con meno requisiti di idoneità, il governo regionale si è posto l’obiettivo di dissipare ogni possibile dubbio. Per questo da mesi è al lavoro una commissione tecnica nominata da Musumeci e presieduta dal professore Aurelio Angelini. L’organismo di esperti avrebbe trovato proprio nello stato infrastrutturale dell’isola uno dei tanti motivi per cui sarebbe impensabile immaginare la realizzazione del deposito in Sicilia. La riflessione riguarda tanto le strade – ritenute non idonee al passaggio dei cask, i maxi-contenitori metallici corazzati da oltre trenta metri di lunghezza che contengono i rifiuti radioattivi – quanto le ferrovie. Per queste ultime, il punto su cui si fa leva riguarda il fatto che in Sicilia, ma vale per l’intero Sud, non esistono tratte che fanno parte della categoria denominata D4, quella utilizzata per trasporti così delicati. Criticità, inoltre, anche qualora si volessero prendere in esame i porti.
Ma di motivi per escludere che sia la Sicilia ad accogliere gli oltre 90mila metri cubi di materiale radioattivo – tra rifiuti a bassa e molto bassa intensità, ovvero la maggior parte; e quelli a media e alta intensità, che necessitano di essere sepolti anche per migliaia di anni – ce ne sono anche tanti e di natura diversa. All’analisi del comitato di esperti voluto da Musumeci sono finiti anche fattori come i livelli di sismicità ritenuti elevati – grazie anche al contributo dell’Ingv – in tutti e quattro i siti. All’attenzione di Roma dovrebbe finire anche l’aspetto relativo ai rischi idrogeologici delle aree individuate come papabili: nel documento prodotto da Sogin non si sarebbe tenuto sufficientemente in considerazione dei dati contenuti nel database regionale a cui si rifà il piano di assetto idrogeologico. A carico dei siti di Butera e Castellana Sicula-Petralia Sottana c’è poi il fatto di essere caratterizzate da aree con pendenze superiori al dieci per cento; elemento questo che non soddisfa i requisiti della zona che dovrà ospitare il deposito nazionale. Al vaglio degli esperti, poi, ci sono i dati relativi ai livelli delle falde e quelli relativi alle precipitazioni.
Tutti fattori che il governo Musumeci conta di far valere nel confronto con Roma, così da uscire prima possibile dalla selezione finale per la realizzazione di un deposito tanto importante quanto mal visto un po’ da tutti.
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