Poche parole, ma significative: chi si attendeva una battuta sulle elezioni regionali da Matteo Renzi, intervenuto oggi alle Terrazze di Mondello (ex Charleston) per presentare il suo libro ‘Avanti’ non è rimasto deluso. Il segretario dem ha definito ‘importantissima’ la tornata elettorale di novembre e non ha risparmiato messaggi sibillini. «La coalizione si fa con chi ha la stessa nostra idea della Sicilia – ha detto l’ex premier – Una coalizione che sia in grado di vincere le elezioni, perché secondo me qui ci sono le condizioni perché accada, come abbiamo fatto a Palermo. Noi come partito nazionale siamo al vostro fianco ma non possono arrivare diktat da Roma o editti col nome del candidato. Regole e procedure verranno scelte dal territorio, per me è fondamentale parlare di cose concrete. Se la Sicilia svolta – ha proseguito – è un bene per il Paese». E devono essere suonate come musica dolce le parole di Renzi alle orecchie di Leoluca Orlando, il candidato uscito vincitore alle amministrative di Palermo, proprio in coalizione col Pd, che adesso potrà alzare la posta per il suo appoggio in vista delle elezioni. «Al Pd – ha proseguito Renzi – non interessa mettere una bandierina in più. Prima di qualunque cosa bisogna discutere di programmi. Le elezioni siciliane sono un passaggio importantissimo e lo sono sempre state, ma, contrariamente a quanto dice la stampa – ha puntualizzato – non sono importanti per i giochi politici nazionali, ma perché la Sicilia è cruciale per la ripartenza dell’Italia. Il governo di questa Regione è importante per il futuro del Paese, non per gli equilibri interni al Pd».
Renzi ha esteso il suo ragionamento sulle alleanze allo scenario nazionale ed europeo, dove però è stato più diretto: «Il centrodestra decida se stare con i populisti o con i popolari – ha detto – Solo da noi si immagina di fare un accordo con Salvini. A Bruxelles è considerato uno con cui i popolari europei non devono fare accordo. Berlusconi deve decidere». Poi ha parlato dell’agenda parlamentare, toccando l’argomento della legge elettorale, che per Renzi va riscritta con agli altri partiti: «Penso che le regole del gioco bisognerebbe scriverle insieme, quindi che le leggi elettorali debbano essere scritte insieme a Berlusconi e a Grillo. Andrebbe fatta tutti insieme – ha sottolineato -, se c’è tempo non lo so. Se ci sono le condizioni bene. A me interessa dire: non facciamo leggi contro gli altri». Poi lo strale: «Noi i Cinquestelle li sconfiggiamo con i voti».
Renzi non ha mancato di tracciare un bilancio del proprio operato da Presidente del Consiglio, rivendicando le vittorie e riconoscendo le sconfitte: «Abbiamo fatto tante cose, ad esempio sulle unioni civili – ha detto – ma ho fatto credere che fosse facile. Forse ho peccato per entusiasmo, forse dovevo fare sentire il senso di un passo più pesante. Ma meglio fare le cose senza timore di sbagliare che tirare a campare. Ho perso la battaglia sul referendum – ha ammesso – ma preferisco chi rischia piuttosto che coloro che pur di rimanere attaccati al potere non fanno nulla. Ci sono stati alcuni errori specifici». A questo propostito, l’ex premier cita una delle misure più caratterizzanti del suo governo, arrivata subito prima delle elezioni europee: «Gli 80 euro sono un fatto straordinario – dice – ma l’ho raccontato male, come fosse una televendita». Ed ha un effetto straniante sentirgli ammettere il proprio sbaglio proprio su un punto peculiare del Renzismo, le narrazioni: «L’errore di fondo è stato fare un sacco di cose, ma raccontarle come se fosse stato facile».
Ancora, Renzi ha ripercorso gli altri provvedimenti legislativi del suo mandato: «La cosa più bella fatta in mille giorni – dice – è la mia idea che un euro in cultura è un euro in sicurezza. Dopo l’attentato al Bataclan tutti hanno chiesto più controlli, più sicurezza per la paura dei terroristi. Ma i terroristi vengono dalle banlieue di Parigi dove non sono stati fatti investimenti in cultura e nel sociale. E allora l’Italia sceglie di prevedere nel nostro bilancio che per ogni euro messo in sicurezza uno verrà speso in cultura». Infine il bilancio personale: «Sono diventato a 39 anni premier senza avere né padrini né padroni – ha detto – Non sono rancoroso io, dall’Italia ho avuto tanto. Nel libro mi premeva mettere i puntini sulle ‘i’ su Mario Monti e Berlusconi. Per un anno siamo andati d’accordo poi si è rotto sul presidente della Repubblica. E lo dico da qui, da Mondello – ha concluso – poi è emersa la figura di un galantuomo che è Sergio Mattarella».
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