A Totò Cuffaro, Silvio Berlusconi aveva detto di riorganizzare Forza Italia in Sicilia. C’è anche questo tra le carte del processo sulla presunta corruzione elettorale prima delle Regionali. Alla sbarra ci sono l’ex consigliere comunale di Catania Riccardo Pellegrino e altri politici dell’hinterland con un curriculum ben più corposo. Non solo per quanto riguarda le cariche istituzionali. Dagli ex deputati regionali Biagio Susinni e Nino Amendolia all’ex sindaco di Aci Catena Ascenzio Maesano. Il processo – nato da un’indagine del 2018 che ha avuto anche uno stralcio, poi archiviato, riguardante l’ipotesi di voto di scambio politico-mafioso – riprenderà questo pomeriggio nell’aula due del carcere di Bicocca. Parleranno alcuni testi della procura.
A Cuffaro (non indagato, ndr) e al suo attivismo hanno fatto cenno gli uomini della Dia nel corso dell’ultima udienza. In particolare, si è fatto riferimento a un incontro avvenuto il 7 maggio 2016 nella libreria del centro commerciale Le Ginestre di Tremestieri Etneo. Quel giorno in programma c’è la presentazione del libro L’uomo è un mendicante che crede di essere un re, scritto da Cuffaro durante gli anni trascorsi in carcere per scontare la condanna per favoreggiamento di Cosa nostra. A sedere in platea, interessati più allo scrittore che all’opera, ci sono anche Susinni, Maesano e il suo uomo di fiducia Giuseppe Panebianco, anche lui sotto processo. «Totò mi ha detto: “Ho avuto un colloquio con Berlusconi“. Gli ha detto: “Questi quattro frasciami di Forza Italia… Se non si organizza questo partito… Dobbiamo stabilire cosa fare“», ricostruisce Susinni agli altri due all’uscita dalla libreria.
Nonostante le Regionali fossero lontane ancora un anno e mezzo, il dialogo risulta particolarmente gradito ad Ascenzio Maesano. L’allora sindaco di Aci Catena, che tre giorni dopo avrebbe preso la mazzetta che gli sarebbe costata l’arresto e la condanna per corruzione, in quel movimento sognava ancora di diventare deputato regionale. Un progetto caldeggiato per lungo tempo e che, stando alle indagini, avrebbe previsto la consegna di somme di denaro all’ex deputato ripostese Nino Amendolia per avviare con largo anticipo la campagna elettorale. Per Maesano, che si trovava sulla cresta dell’onda, la tornata del 2017 sarebbe potuta essere l’occasione ideale per tornare all’Ars. A Palermo, d’altronde, c’era stato nel 2012, ma si era trattato di una toccata e fuga durata poche settimane e legata alla sospensione da deputato di Fabio Mancuso. «Alcune manifestazioni, organizzate in occasione della presentazione del libro dell’ex presidente della Regione, erano strumentali alla programmazione delle strategie politiche», annotano gli investigatori in merito al susseguirsi di eventi promozionali del libro di Cuffaro.
L’investitura di Maesano a candidato di punta nel Catanese tramonta però il 10 ottobre, quando a bussare alla sua porta è la Dia. In quel momento per tutti sorge anche la necessità di trovare un sostituto su cui dirottare la macchina del consenso già messa in moto. È così che, secondo la procura, entra in scena Riccardo Pellegrino. Il rampante politico, che nel 2018 ha tentato anche la corsa a sindaco di Catania, viene inserito nella lista di Forza Italia nonostante le resistenze di Nello Musumeci, costretto a ritirare qualsiasi obiezione sui voti dei cosiddetti impresentabili dopo che l’imprimatur alla candidatura viene posto da Gianfranco Miccichè e, soprattutto, da Silvio Berlusconi. In questa storia un peso, però, ce l’ha anche Maesano. È proprio l’ex sindaco di Aci Catena la persona che dimostra di credere di più nel giovane cresciuto tra i vicoli di San Cristoforo.
«Dobbiamo votare per questo Pellegrino, l’ho cresciuto io. Mi hanno dato sempre i voti a Catania… Lui sempre…», avrebbe scritto il politico catenoto in una lettera, mentre si trovava ai domiciliari. Il senso di riconoscenza, per i magistrati, sarebbe da ricondurre all’appoggio che Maesano avrebbe ricevuto in occasione delle Regionali del 2008, quando ottenne quasi novemila preferenze e un successo inaspettato in alcuni quartieri popolari di Catania. Su quel consenso, in passato, si è soffermato il collaboratore di giustizia Gaetano D’Aquino: per l’ex killer dei Cappello – ma le sue dichiarazioni non hanno mai trovato riscontri – Maesano aveva ricevuto l’appoggio dei clan in cambio di oltre centomila euro. Soldi consegnati al boss Sebastiano Fichera, poi ucciso, di lì a pochi mesi, in un agguato a Nesima.
Ma se su Pellegrino, Maesano mostra di non avere dubbi, qualche perplessità circola tra chi in un primo momento si era mosso convinto di sostenere l’ex sindaco. In una conversazione Susinni, a chi gli chiede se il giovane politico potesse contare su un sostegno a «livello di delinquenza, di mafia», risponde parlando di «gente seria che lo appoggia». Si arriva così al 24 agosto. La data è importante: quel pomeriggio, Susinni e Amendolia partono per Catania. E lo stesso fa Maesano, che lascia i domiciliari, con l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, per sottoporsi a una visita medica. I tre si trovano, e per i magistrati non è un caso, all’interno di uno studio in viale XX Settembre. A seguire ogni momento sono le telecamere nascoste della Dia. Il conciliabolo dura una ventina di minuti e serve a sciogliere ogni riserva su Pellegrino.
Ma nonostante l’impegno e i preparativi, la rincorsa al seggio a Palermo non si rivela fortunata. Il giovane forzista incassa oltre quattromila voti, ma non bastano. Quella che arriva dalle urne è una bocciatura e ha radici precise: fuori città, nei paesi della provincia. Ovvero lì dove, secondo l’accusa, Pellegrino avrebbe messo mano al portafogli. Pagando ogni voto 50 euro. I soldi sarebbero stati recapitati a una serie di galoppini – uno dei quali a luglio ha ottenuto dal tribunale la messa alla prova ai servizi sociali – il cui compito sarebbe stato quello di distribuirli tra gli elettori in cambio dei voti. Il meccanismo, però, evidentemente non funziona e Pellegrino ne prende contezza quando lo scrutinio è ancora in corso.
La delusione è tanta e digerirla non è semplice. Per questo il consigliere, con l’aiuto del padre Filippo, pure lui a processo, dai giorni successivi al voto inizia a contattare le persone di riferimento sui territori. La richiesta è chiara: restituire parte dei soldi investiti. Padre e figlio, via via riducendo le cautele fin lì prese al telefono, fanno presente agli interlocutori che non ci sono alternative. Ancora una volta a seguirli ci sono gli uomini della Dia che monitorano una serie di incontri, tra i quali uno nei pressi dell’ingresso del Mc Donald’s di Acireale. «Si iddi non ti voluni dari tutti, un consiglio: “Ma puttari a metà“. Tu c’ja dari u duci e l’amaru», dice a Pellegrino la sua segretaria quando ancora, però, la ferita è troppo fresca.
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