«Io dico “dentro dentro”, ma c’è un segretario che dice “fuori fuori”. Che volete che dica, bisogna rassegnarsi. Scissione? Il partito è casa mia e non lo lascerò mai. E per cacciarmi non basta una Leopolda, ci vuole l’esercito. Sto cercando di tenere dentro al Pd popolo che in parte è già fuori». Pierluigi Bersani ha scelto la Sicilia per partecipare alle sue prime manifestazioni ufficiali per il No al referendum costituzionale del 4 dicembre. Stamattina è stato a Palermo, per partecipare a un incontro con gli studenti promosso dal Centro Pio La Torre. Pomeriggio, alle 17, è atteso a Ragusa. In serata, dalle 19, chiuderà il suo tour a Siracusa.
Una giornata che arriva all’indomani della chiusura della Leopolda a Firenze, dove il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha attaccato la minoranza del Pd. «In parte del nostro partito – ha detto il premier – è prevalso il messaggio che gli stessi che 18 anni fa decretarono la fine dell’Ulivo, perché non erano loro a comandare la sinistra, stanno decretando la fine del Pd perché hanno perso un congresso e usano il referendum come lo strumento per la rivincita. Con rispetto, umiltà ma decisione, non ve lo consentiremo. A loro, ai teorici della ditta dico che negli Usa Bernie Sanders lavora e fa campagna per Hillary Clinton».
Parole a cui, da Palermo, risponde Bersani. «Nel nostro mondo c’è un disagio e non si può rispondere insultando, finché insultano me non ho problemi ma certi slogan feriscono tanta nostra gente. Così si finirà per tirare la volata alla destra. Credo sia una responsabilità gravissima aver portato il Paese e la sinistra a questo grado di divisione, il gioco non vale la candela». L’ex segretario del Pd critica l’impostazione che ha portato alla stesura della riforma. «Per la prima volta nella storia del Paese – dice – un governo prende l’iniziativa di cambiare in autonomia la Costituzione. Calamandrei diceva che i banchi del governo avrebbero addirittura dovuto essere vuoti quando il Parlamento discuteva di Costituzione. Questo governo, invece, mette la fiducia sulla legge elettorale, poi annuncia al mondo che siamo sul precipizio, che tutto dipenderà dal referendum, che ci sarà un prima e un dopo. Io – continua – dico che il giorno dopo saremo come il giorno prima. L’esito che si è ottenuto è quello di dividere il paese. Chiunque vincerà, avremo perso tutti se non mettiamo le cose nel giusto binario».
Cosa non va nel testo su cui gli italiani sono chiamati a votare? «Io avrei fatto un Senato elettivo e migliorato i rapporti tra centro e periferia. E poi la vera riforma del Parlamento sarebbe un nuovo regolamento. La riforma ha più di un difetto. Mi fermo su due punti, uno è la formazione delle leggi, l’altro il rapporto tra Stato ed enti locali. La suddivisione tra beni di interesse regionale e di interesse nazionale è illogica. Io sono un sostenitore della tesi che si facciano troppe leggi, e pure male. Quando sento il mio segretario dire che la retribuzione dei parlamentari deve essere associata alla presenza in aula, dico: ma si sa che noi abbiamo il record mondiale di assemblee plenarie?».
Per Bersani il peccato più grande è stato «dividere il Paese. Aver drammatizzato com’è ha fatto Renzi il voto costituzionale non ha precedenti – aggiunge -. Ma è possibile che da un anno a questa parte si vada avanti a pane e referendum? La gente ha altri problemi. Bisogna tornare con i piedi per terra e sdrammatizzare, altrimenti perdiamo tutti e ci ritroviamo il Paese diviso. Cerchiamo in questo ultimo mese che manca al voto di usare il buon senso».
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