Randazzo: i terreni tra pascoli, incendi e denunce «Qui bisogna scontrarsi con la mafia di Etna nord»

Contrada Rivaggi, versante nord del parco dell’Etna, territorio di Randazzo, zona B. L’incendio del 30 giugno ha distrutto diversi ettari di bosco e devastato una vasta porzione di territorio. In mezzo c’era anche il 95 per cento dei terreni di Sebastiano Blanco, 46 anni, che a seguito di un’eredità si è ritrovato tra le mani sei ettari di terrazzamenti acquistati dal nonno intorno al 1960. «Dentro c’è anche un casolare in pietra lavica, che sicuramente accresce il valore di quello che ho. Anche perché, visto che ci troviamo in una zona tutelata, non è possibile costruire niente di nuovo». Ma è per via di quell’edificio di pietra lavica che, il 18 novembre 2016, le cose si sono complicate. Un incendio doloso, proprio quando la ristrutturazione stava per essere terminata, e danni per circa 80mila euro. «Un fatto che io non considero casuale», racconta Blanco a MeridioNews. Nelle scorse settimane, per l’ennesima volta, avrebbe denunciato l’intrusione di animali da pascolo nel suo terreno. «Stavolta – dice – sono riuscito a bloccare un ovino e a fare fotografare la targhetta identificativa direttamente dai carabinieri».

«Il contesto in cui mi muovo e lavoro è quello che io definisco della mafia dei pascoli di Etna nord», continua Blanco. Che l’incendio sia stato un’intimidazione nei suoi confronti non è stato provato, come sottolineato anche in un articolo della Bbc che racconta questa storia. Una delle possibilità è che qualcuno si sia introdotto dentro, forse per dormirci, e abbia acceso un fuoco poi degenerato. Secondo l’imprenditore, però, sotto potrebbe esserci qualcosa di più. «Negli scorsi anni, mi è stato chiesto il terreno in affitto. Si trova in una posizione molto comoda, a ridosso della strada statale 284 che arriva a Bronte. Inoltre, accanto c’è una grossa particella del Comune di Randazzo, che viene abitualmente usata per il pascolo. Infine – aggiunge – alcune persone si sono presentate per propormi dei lavori edili, cosa che io ho rifiutato». All’inizio di novembre di un anno fa, però, nel terreno di Blanco sarebbero apparsi dei paletti collegati tra loro con del filo spinato, a tagliare a metà i sei ettari di sua proprietà. «E poi mucche, capre e pecore hanno cominciato a pascolarci dentro – continua il 46enne – Io ho rimosso il filo spinato e la palificazione. Sembrava un confine all’interno di casa mia. Una settimana dopo mi è stata incendiata la casa: ho pensato che potesse esserci un collegamento».

Nei mesi le sue denunce alle forze dell’ordine si sarebbero accatastate una sopra l’altra, secondo la sua versione. Più di una decina, tutte per segnalare invasioni di terreno, violazione di domicilio, pascolo abusivo. In un caso anche ingiurie. «All’inizio di giugno ho trovato dei pastori con degli animali, ho cacciato gli animali e i pastori, invece di andarsene, sono rimasti fermi a guardarmi ridendo». Parlando con altri proprietari come lui, secondo Blanco il quadro è piuttosto chiaro: «Ho avuto modo di prendere atto, anche parlando con la comunità locale, che l’intera zona che si estende dal monte Spagnolo fino al lago Gurrida, e oltre, fino alla strada Quota mille, è sotto lo scacco di persone che comprimono la libertà personale e impediscono ai legittimi proprietari dei fondi rurali di fruirne com’è loro diritto – sostiene – Allevatori storici fanno garbate proposte di collaborazione, ma dopo eventuali dinieghi arrivano i danneggiamenti. Il fatto stesso che queste cose avvengano fa fare un passo indietro a molti». E quelli che resistono e raccontano il clima di tensione che si respira nelle campagne, spesso, finiscono sulle pagine dei giornali. È il caso dell’imprenditore agricolo Emanuele Feltri o del giovane Salvatore Rubulotta. Anche quest’ultimo attivo nel Randazzese. «Dalle nostre parti – interviene Sebastiano Blanco – succede quello che tante indagini hanno evidenziato sul parco dei Nebrodi. Non credo che sugli altri versanti dell’Etna una situazione simile sia possibile, perché sono zone più urbanizzate».

Lui, nel frattempo, scrive all’Anac e colleziona le denunce che presenta, mentre a poco a poco riprende a sistemare il suo terreno. «Nell’incendio del 30 giugno non ho perso niente, perché ancora non coltivo nulla. Il danno, però, è chiaramente ambientale». Il rogo, in quell’occasione, è arrivato nel suo terreno pur essendo partito più lontano. «Le forze dell’ordine faranno le loro indagini ed è giusto così – conclude l’uomo – Però i risultati degli incendi, per gli allevatori, sono senza dubbio positivi. Si riesce a controllare meglio il gregge e, dopo un paio di settimane, l’erba cresce di nuovo verde». L’obiezione più ovvia, però, è che prima della ricrescita dell’erba passi del tempo in cui gli animali non avrebbero cosa mangiare, e quindi eventuali allevatori malintenzionati sarebbero comunque costretti ad acquistare del cibo: un dispendio economico non indifferente. «Se per un paio di settimane il gregge invece di andare a mangiare a nord va a mangiare a est o a ovest non è un problema. Il beneficio successivo è certamente rilevante. C’è da dire, però, che il pascolo dovrebbe essere impedito per dieci anni nei luoghi in cui si è verificato un incendio». Uno degli effetti della famosa legge-quadro del 2000 sulle aree percorse dal fuoco. «Una normativa che si può applicare solo se si delimitano immediatamente le aree incendiate, perché con la ricrescita della vegetazione è tutto più difficile. Cosa che però non sempre avviene. Eppure la legge da fare rispettare ci sarebbe».

Luisa Santangelo

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