Ragusa, gli agricoltori invisibili delle serre Presidio Caritas per aiuto sanitario e legale

Si stima la presenza di circa 13mila persone all’interno delle vaste zone adibite a serra che si snodano nelle traverse della strada provinciale 31, quella che costeggia Marina di Acate e Scoglitti, dando possibilità di proseguire verso Vittoria. È in queste terre che da oltre 20 anni trovano un posto di lavoro uomini e donne, stranieri e in un passato italiani, che s’impiegano in agricoltura

Da sempre le zone periferiche della provincia di Ragusa hanno rappresentato un indotto importante per la produzione di ortofrutta, ma solo da pochi mesi la cronaca ha per la prima volta fatto luce sulle condizioni in cui matura questa produzione e a che costo per i lavoratori. Le denunce sono però in corso da anni. Sottopagati, costretti a corrispondere lavoro extra, sottomessi a una legge della campagna che prevede scambi di favore con risoluzioni non solo di tipo economico, sono solo alcune delle circostanze a cui sono piegati i lavoratori.

Il mercato del lavoro in questi territori ha avvertito la crisi e ha cambiato le proprie regole. Oggi chi vuole lavorare è costretto ad accontentarsi di paghe da fame. Colpa dell’arrivo dei romeni – come sostengono alcuni – che si accontentano di poco denaro. E se negli anni ’90 le giornate lavorative erano retribuite a 50mila lire, oggi si arriva ad offrire appena 20 euro perché la basse pretese dei romeni hanno condizionato tutto il mercato. 

All’interno di un’ambiente ostile e in cui tra lavoratori di diversa nazionalità corre cattivo sangue non s’inserisce un controllo stabile delle forze statali. Gli interventi delle forze dell’ordine, persino quello del governo romeno – piombato in Sicilia subito dopo la scoperta del giro di prostituzione che coinvolgeva donne originarie della Romania – ha avuto scarsissimo seguito uno volta spenti i riflettori della cronaca nazionale. «Ogni tanto si vede qui Giuseppe Scifo della Cgil Ragusa – dichiara uno dei volontari che staziona in zona Macchioni – quasi mai forze dell’ordine». 

Chi rimane ancora a circolare costantemente tra i campi, spostandosi in auto tra le serre, sono i giovani che fanno parte del progetto presidio della Caritas. In precisi giorni della settimana i volontari portano avanti attività di censimento degli abitanti, delle casupole esistenti, accolgono i nuovi lavoratori consegnando volantini multilingua, spiegano com’è possibile ottenere visite mediche e documenti, distribuiscono indumenti ad adulti e bambini.

Censire chi vive nei campi è difficile, così com’è difficile persino vedere chi lavora nelle serre. «Eppure sono nei campi praticamente per tutto il giorno – commentano i volontari – lavorano sempre». Tra le vie delle serre spuntano antenne paraboliche, panni stesi, qualche macchina in cattive condizioni. Solo a sera queste stesse case si animano e le strade diventano «come quelle di un piccolo villaggio». «A volte ci hanno inviato a cenare con loro – ci spiega un volontario – ascoltarli gli restituisce dignità». In luoghi bordeline come quelli di Macchioni si vive in una zona franca. Quanto ci è stato fatto sapere è la presenza di alcuni locali apparentemente insospettabili che di notte si trasformano in veri e propri bordelli dove si alimenta un giro di prostituzione consolidato.

I contatti del presidio vengono lasciati dai volontari casa per casa, ma solo quando si ha segno che sia cominciata ad essere stata abitata. All’iniziale diffidenza degli abitanti, spesso si parla di interi nuclei familiari, seguono i ringraziamenti per il gesto compiuto.

«Il progetto nasce per volontà dei vescovi italiani che si sono interrogati su questo fenomeno di sfruttamento dei lavori stagionali agricoli – racconta uno dei volontari -. Da lì grazie al responsabile dell’ufficio Immigrazione Oliviero Forti è nato il Progetto presidio». Scopo primo dell’iniziativa era quello di offrire un sostegno per l’aspetto amministrativo, legale e sanitario, ma poi qualcosa è cambiato. «In questi mesi, man mano che abbiamo girato abbiamo compreso in quali condizioni vivono questi lavoratori nel territorio di Ragusa e ci siamo resi conto che avevano bisogno di maggiore assistenza. Non si può permettere – continua – che una persona viva in case abbandonate, fatiscenti, dove in alcuni casi la porta è sostituita da un pezzo di plastica da abbassare la notte. Rischiano di morire di freddo, qui d’inverno le temperature sono molto basse. Abbiamo portato coperte, poi giubbotti. In questi spazi non abitano solo adulti, ma anche bambini. Alcuni tra l’altro sono nati qui in questi mesi».

Il progetto non è solo itinerante, ma ha una base stabile a Marina di Acate. «L’attività è concentrata il lunedì e il giovedì in giro per le strade, nelle campagne della zona per intercettare le persone che abitano in questi posti». Su indicazione del vescovo Paolo Urso «il martedì abbiamo costituito una struttura che d’estate serve per la celebrazione eucaristica e d’inverno fa da centro ascolto e piccolo ambulatorio medico dove un volontario in pensione compie una media di 15 visite. Sono diffusi soprattutto il mal di denti, l’influenza e i traumi». A recarsi in ambulatorio è stato anche un giovane in gravi condizioni. «Un ragazzo è arrivato perché aveva un piede bruciato – sottolineano – perché il datore di lavoro non aveva provveduto a dargli scarpe adeguate. Mentre lo stava miscelando un prodotto chimico da serra gli è caduto sul piede provocandone poi il rischio putrefazione. Abbiamo comprato dei farmaci utilizzando i soldi del ragazzo; aveva denaro ma non chi mandare in farmacia. Il padrone, così come lo chiamano loro, non aveva provveduto neppure a dargli il responso medico. Il ragazzo inizialmente non ha saputo neppure che medicine comprare».

Ad appoggiarsi al presidio sono anche donne e bambini. «Sono venute molte donne, anche in stato di gravidanza avanzata, a cui veniva normalmente negato il controllo medico nonostante siano vicine al parto». Non sono pochi i nati nei campi, ma i servizi sono più che improvvisati. In passato in questi luoghi era sorto un nido abusivo, poi regolarizzato. «La paga per ogni bambino era di 65 euro a settimana, la proprietaria aveva circa dieci bambini che le permettevano un guadagno netto di 2.700 euro al mese. La madri dovevano portare anche pannolini e merendina. Da un mese circa l’asilo è stato regolarizzato, prima era tutto in nero. Vecchio gestore del nido era il datore di lavoro di alcuni ragazzi venuti al presidio, a cui aveva affittato la casa e contestualmente prelevava la corrente elettrica per alimentare la sua serra. I ragazzi hanno poi deciso di cambiare casa».  

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