di Pietro Ancona
Osservavo la platea dei delegati alla Conferenza della CGIL. Osservavo anche la scenografia dell’ambiente che la ospita, una scenografia che certamente non richiama il lavoro ed i luoghi in cui si svolge, ma piuttosto lo spazio modernissimo, asettico, freddo e gelidamente impersonale di un edificio di lusso da quartiere bene della città.
I delegati alla Conferenza sono certamente tutti funzionari della CGIL o equiparati. Per equiparati intendo distaccati dal posto di lavoro, ma titolari di un distacco lungo, lunghissimo a volte anche ventennale. (a sinistra, Susanna Camusso, segretario generale della Cgil)
I delegati rappresentano oltre cinque milioni di iscritti alla CGIL, una parte considerevole dei quali pensionati. Trattasi del grande popolo silente della CGIL. E’ come se un potente narcotico scorresse delle arterie e nelle vene di questo grande corpo sociale paralizzato ed incapace di assumere uniniziativa.
Avete mai sentito parlare di una assemblea, di una riunione in cui “la base!” assume l’iniziativa su un tema qualsiasi? Avete mai sentito una reazione dei tre milioni di pensioni sulla terribile riforma del sistema pensionistico? Avete mai sentito una voce, una raccolta di firme, un movimento per abolire la legge Biagi o per chiedere qualcosa, per esempio, il Salario Minimo Garantito? Non succede niente.
La meravigliosa base della CGIL è stata passivizzata ed imbracata. La struttura è talmente burocratizzata che difficilmente una lampada che si accende in un punto qualsiasi del grande territorio della CGIL potrà essere visto da tutta l’organizzazione. La CGIL funziona come una conglomerata di uffici. Non è più una organizzazione di classe. Il movimento è soltanto quello che, di volta in volta, serve alla segreteria confederale: un raduno a Roma e si riempiono i pulmann, uno sciopero di due ore e si fa lo sciopero di due ore e così via.
Ma trattasi sempre di esercitazioni burocratiche e mi viene da dire ministeriali che non hanno niente a che spartire con i grandi movimenti ed i grandi scioperi generali che la CGIL era riuscita a fare fino all’avvento delle segreterie Epifani e Camusso, cioè prima della grande glaciazione suggerita o imposta dal PD.
I duemila dirigenti che oggi costituivano la Conferenza e che sono gli stessi che domani costituiranno il Congresso non sono più dirigenti della classe lavoratrice emersi dalle lotte e dal movimento. Sono managers borghesi del tutto simili a quelli di Mediaset della Cisl o della Finmeccanica.
Il loro rapporto con la base dei sei milioni di iscritti è lo stesso che i dirigenti di azienda hanno con gli impiegati ed i tecnici loro sottoposti. Il DNA della base della CGIL non è cambiato, ma quello delle strutture dirigenziali sì. Non è più lo stesso. Nelle vene dei managers sindacali e degli iscritti non scorre lo stesso sangue.
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