Raffineria Gela, firmato l’accordo per la riconversione  Investiti 2 miliardi, l’80 per cento per nuove estrazioni

Questa volta l’Eni non ha fatto scherzi. La data del 6 novembre era attesa dai lavoratori dell’ormai ex Raffineria di Gela, a metà tra fede e ansia per un futuro quanto mai incerto. Al tavolo del ministero dello Sviluppo Economico è stato siglato l’accordo che impegna il governo nazionale, l’Eni, la Regione siciliana ed i sindacati alla riconversione dello smisurato sito gelese

Da luglio è stato tutto un filtrare di paure, dati parziali, annunci, promesse. Finalmente adesso dati certi. L’importo totale dell’investimento è di 2 miliardi e 200 milioni di euro. Così suddivisi nel Programma di Sviluppo Eni: la parte del leone la fanno le attività upstream, cioè esplorazione ed estrazione di idrocarburi come gas e petrolio, con ben 1 miliardo e 800 milioni di euro. Altri 200 milioni di euro saranno destinati al risanamento di aree non più di interesse. E 220 milioni invece per la riconversione vera e propria della raffineria in bioraffineria. Quanto basta per far dire al sindaco Angelo Fasulo che «sarà il polo industriale green più grande d’Italia». 

Nel garantire il mantenimento dei livelli occupazionali l’Eni attuerà diverse strategie integrate. Per i lavoratori del diretto: 400 persone verranno destinate alla Green Rafinery, 382 saranno ricollocate nella consociata Enimed, 262 saranno i lavoratori immediatamente trasferiti in Italia e all’estero, mentre i restanti rimangono assunti a ruolo, ovvero prima o poi dovranno anch’essi fare le valigie. 

Poi c’è il capitolo dell’indotto, da sempre i lavoratori più bistrattati. Per essi le tabelle indicano una media annua di utilizzo: 900 unità nel 2015, si sale fino a 1200 unità per il 2016, per poi a scendere a 1000 nel 2017. Tirando le somme all’incirca in totale sono 2mila lavoratori. Per gli altri verrà rinnovato l’uso degli ammortizzatori sociali. Su questo versante così come sullo sblocco degli iter autorizzativi, i vertici del cane a sei zampe sono stati chiari, finanche perentori. L’accordo permette infatti un’accelerata delle autorizzazioni necessarie alle trivellazioni, previste sia a terra che a mare, grazie anche alla recente approvazione dello Sblocca Italia

Le tre tradizionali linee di produzione, già fortemente indebolite negli ultimi mesi, vengono definitivamente fermate. E’ la fine di un ciclo, insomma, davvero la fine dell’industria così concepita da Enrico Mattei. Non più ricchezze del territorio per il territorio, ma esportazione delle risorse estratte ed importazione di altre materie prime. Nello specifico ingenti tonnellate di olio di palma, necessario ad alimentare i nuovi impianti tramite la tecnologia di marca Eni ecofining. Ed infine due progetti ancora in fase di studio: la realizzazione di un grosso stoccaggio di carburante a basso costo come il gnl (gas naturale liquefatto), ed un impianto per la produzione di lattici naturali partendo dal guayule, con eventuali e non meglio specificati riflessi per l’agricoltura circostante. 

Fino a qui i dati. Se le reazioni sono prevedibili da parte dei soggetti che hanno firmato l’accordo e che sostanzialmente esultano per lo scampato pericolo dell’abbandono, altrettanto non si può dire del resto della cittadinanza. Alcuni tra i lavoratori più attivi in questi mesi di proteste continuano a non fidarsi. I cancelli della fu Raffineria sono al momento desolatamente semi vuoti. «La quiete prima della tempesta», sintetizza uno di loro. Per un Crocetta che fino a poco tempo fa minacciava fuoco e fiamme contro l’Eni e addirittura la chiusura dei pozzi, adesso la sua firma consente ulteriori trivellazioni. «Hanno salvato gli ammortizzatori sociali – dice il consigliere di Articolo 4 Terenziano Di Stefano, da sempre uno dei più critici nei confronti delle politiche Eni e di questo accordo in particolare – Il sindaco non ha rispettato la volontà del consiglio comunale».

Andrea Turco

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