Rabia, il musulmano che abbraccia Palermo «Non tutti gli arabi sono bigotti e criminali»

Un abbraccio contro la paura, il contatto umano contro la fobia del terrorismo islamista, l’empatia contro la diffidenza verso lo straniero: un certo tipo di extracomunitario, così come raccontato da molti media, non certo il facoltoso turista ma il musulmano tout court, senza distinzioni. Fa ancora discutere la performance di Rabia Bouallegue, palermitano nato da genitori tunisini, che sabato scorso – alla mobilitazione antirazzista a piazza Verdi – ha scelto di bendarsi per aprire «le braccia e il cuore verso Palermo». Due fogli spiegavano poi il senso del gesto: in quello a destra c’era scritto «Sono musulmano e mi hanno etichettato come terrorista» e in quello a sinistra «Io mi fido di te, tu ti fidi di me? Se si, abbracciami»

A Meridionews Rabia spiega il senso del suo gesto: «Ho voluto dimostrare che non tutti gli arabi, per giunta musulmani, sono criminali. E poi volevo scardinare quello stereotipo dell’arabo musulmano ignorante, chiuso, violento e bigotto: per fare questo ho posizionato proprio di fronte a me un vaso pieno di bigliettini che contenevano antiche perle di saggezza musulmana. Poesie, versetti coranici inneggianti alla tolleranza interreligiosa e soprattutto antichi detti del profeta dal carattere universale». Rabia ha 29 anni, studia Scienze politiche e relazioni internazionali, e il suo passato è segnato dall’impegno come attivista in difesa dei diritti umani, anche nei Centri di identificazione ed espulsione. Si è imbarcato con la Marina militare e ha viaggiato tra Lituania, Finlandia, Inghilterra e Germania. E con Palermo, la città in cui è tornato a vivere, i rapporti sono contrastanti: «Se sto bene? Dipende dove vivo. Con alcuni palermitani mi trovo bene, con altri male, con altri ancora malissimo».

Eppure proprio l’autodesignata città dell’accoglienza ha saputo manifestare il proprio affetto nei confronti dello studente musulmano. «Gli abbracci sono stati tanti, e la reazione è stata positiva. Non me lo aspettavo sinceramente: con tutto l’odio che vomitano i mezzi di comunicazione, mi aspettavo altrettanti vomito d’odio da parte della gente. E invece si sono fidati, come io mi ero fidato di loro bendandomi gli occhi». L’attivista poi è in grado di discernere e di indicare anche possibili sbagli da parte dei fedeli come lui: «Comprendo la paura e l’intolleranza verso certi musulmani dichiarati, i famosi bigotti, che nella loro chiusura mentale pensano di essere ad un livello superiore rispetto agli altri». Un’autocritica che a Rabia comporta pure qualche conseguenza. «Sì, ho avuto parecchie tensioni con quel genere di musulmani – ammette -. Personalmente soffro di claustrofobia. Ho smesso persino di frequentare le moschee proprio per evitare che si creino altre tensioni con loro, dal momento che non amo i conformismi».

Il giovane palermitano rimane comunque fiducioso: «Spero che la gente abbia compreso che il mondo musulmano non è un blocco unico che vuole imporre la sharia. Ci sono varie ideologie, modi di pensare, filosofie varie. Alla sharia da appliccare nel mondo materiale ho sempre preferito le poesie mistiche sufi da appliccare nella propria vita spirituale». Neanche la scelta del posto, di fronte il teatro Massimo, è stata casuale. «Un mese e mezzo proprio a piazza Verdi ho subìto un pesante controllo da parte di nove agenti di polizia – racconta Rabia – che in un primo momento temevano di avere a che fare con un terrorista. L’episodio mi ha dato molto fastidio».

Andrea Turco

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